Vita di specializzando - Una riflessione sull'obiezione di coscienza
- Daniela Ovadia — Agenzia Zoe
- Attualità mediche
di Stefano Orsenigo (specializzando in anestesia e rianimazione)
A seguito di una recente decisione della Corte Suprema statunitense, si è tornato a parlare prepotentemente di diritto all'aborto.
La sentenza ha infatti deciso che, contrariamente a quanto stabilito nel 1973 (la ormai nota sentenza Roe vs Wade), la legislazione relativa al diritto all'aborto sarà, a partire da questo 24 giugno di pertinenza nazionale e non più federale. L'effetto pratico è che, grazie a leggi "pre Roe" e "leggi grilletto", in poco tempo circa metà degli stati americani potrebbero rendere illegale il diritto all'aborto [1].
Come sottolinea un articolo della BBC [2], questo evento sembra aver già avuto ripercussioni non indifferenti anche all'estero, e in particolare viene citata anche l'Italia.
La situazione legale in Italia in effetti è immutata dal 1978, data di approvazione della famosa 194, legge che permette l'aborto fino ai 90 giorni dalla gravidanza (o in fasi più inoltrate se sussistono motivi sanitari) e che prevede l'"obiezione di coscienza" per il personale sanitario, che in questo modo non è quindi obbligato a prendere parte alla procedura.
Quest'ultima possibilità è inserita all'interno della legge per non obbligare dei professionisti ad andare contro alla propria coscienza e non essere quindi costretti ad effettuare un trattamento al quali si è contrari.
I problemi della cosiddetta obiezione di coscienza sono però molteplici.
Innanzitutto storici: l'obiezione di coscienza nasce anche in Italia come rifiuto dell'attività militare. Era Don Milani a incitare al suo utilizzo parlandone come di una pratica contraria alla legge "che si ritiene ingiusta". Lo scopo non è solo sottrarsi a qualcosa che si crede non corretto, ma anche dare un esempio, con un sacrificio: accettando le pene previste dalla legge.
Ecco che anche in questo, la moderna obiezione di coscienza, che oramai per antonomasia si riferisce unicamente alla scelta sull'aborto, c'è una sostanziale differenza: rispetto a come era intesa in passato, oranl'obiezione di coscienza è invece prevista dalla legge e non ad essa contraria.
Sono decenni che si disquisisce sull'etica e sulla morale di questi problemi, e sono sicuro che le riflessioni, da entrambe le parti, di altre persone siano più interessanti delle mie.
Ci sono però due fatti che, come tutti i fatti, esulano da qualsiasi tipo di opinione.
Il primo è che la legge prevede la possibilità per le persone di usufruire di un servizio quale l'aborto. L'altissima percentuale però - come è noto - di obiettori di coscienza rende questa via spesso difficilmente percorribile, in alcuni regioni italiane è addirittura impossibile. È evidente che si crea un paradosso tra ciò che la legge prevede e ciò che succede nella pratica. Un paradosso a cui, in un modo o nell'altro, bisognerà prima o poi sopperire.
Viene infine il problema che più ci compete: qual è l'impatto sulla salute dei pazienti?
Vietare l'aborto non significa ridurne i casi ma solo renderli meno sicuri.
Non si tratta di uno slogan: dati di Amnesty International [3] spiegano chiaramente come l'aborto venga effettuato comunque, ma in maniera clandestina, senza un adeguato supporto sanitario e con importanti rischi di salute pubblica.
Al di fuori della propria opinione su questa materia, vietare l'aborto, in Italia come in USA, non è la soluzione, e anche sistemi come quello italiano hanno grosse falle: se il sistema americano non funziona e mette a repentaglio la vita delle persone, il nostro è invece un sistema che offre qualcosa di diverso da ciò che prevede, in una palese dimostrazione di grande ipocrisia.
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