Vita di specializzando - Le frustrazioni di noi specializzandi

  • Stefano Orsenigo
  • Uniflash
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Il grande vantaggio di essere specializzandi è che gran parte della tua vita, dal primo anno fino all'ultimo, è dedicata a imparare. Come già scrivevo in passato, la curva di crescita è incredibile, e anche se raggiunge un plateau altrettanto rapidamente, il livello raggiunto è in media molto alto.

È certo che il medico dal capello bianco ha una grandissima esperienza e un occhio clinico impareggiabile, ma è altrettanto (almeno a mio parere) lampante quanto la conoscenza teorica di un giovane medico sia spesso eccezionale. Ovviamente anche questo porta con se degli svantaggi. Tralasciando le difficoltà nel mantenere un alto livello di studio e molte ore di lavoro insieme a una vita personale e sociale adeguate, penso sia un sentimento diffuso tra tanti specializzandi (e ne ho avuto spesso riprova con dei colleghi) un forte senso di frustrazione.

Com'è possibile che la letteratura di tutto il mondo convenga in maniera così forte su un determinato fenomeno o l'adeguatezza di alcuni iter diagnostico-terapeutici, e poi la pratica clinica effettiva sia così diversa? Per quanto ho potuto constatare sollevando questo argomento con altri colleghi, di diverse specialità e di diversi anni, questo pensiero non tormenta unicamente la mia testa. E neanche posso rispondermi di essere io arrogante a mettere in dubbio quanto fatto nella pratica, se è l'intera comunità scientifica internazionale a farlo.

Facendo un esempio, anche medici più anziani ridono spesso dell'utilizzo spasmodico di antibiotici da parte dei nostri medici di PS o da parte dei medici di base che li prescrivono al telefono. In alcune terapie intensive (come ovviamente in alcuni studi di medici di base e in alcuni PS) lo sforzo di ridurre l'utilizzo di antibiotici, e quindi la pressione selettiva allo sviluppo di resistenze da parte dei batteri, è incredibile.

Il risultato è però letteralmente una goccia nell'oceano. La realtà è che l'Italia è terrificante dal punto di vista delle resistenze antibiotiche, e fatta eccezione per alcuni ceppi di pneumococco e lo Pseudomonas, i livelli di resistenza antibiotica sono enormi: se la media europea indica la resistenza al temibile A. baumannii verso tutti gli antibiotici al 34%, in Italia la resistenza è al 78%. E lo stesso discorso vale per altri microrganismi quali l'MRSA e la KPC, veri e propri flagelli delle terapie intensive.[1]

Non riesco a non provare un enorme sconforto nel leggere questi dati. La sensazione è quella dell'inutilità del mio tempo speso a studiare, se tanto poi quello che si fa è completamente diverso. Passato lo sconforto, poi, ovviamente, si realizza che è un lusso in cui non si può indugiare. Ci si rialza, e si rimette la testa china sui libri.