Vita di specializzando - Induttivismo e deduttivismo in medicina

  • Daniela Ovadia — Agenzia Zoe
  • Attualità mediche
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di Stefano Orsenigo (specializzando in Anestesia e rianimazione)

 

Ogni tanto anche sulle riviste più cliniche esce qualche editoriale che non è rivolto a uno specifico trattamento o a una patologia ma a qualcosa di più ampio.
In questo caso la rivista è l'American Journal of Respiratory and Critical Care, su cui escono sicuramente pezzi di notevole valore clinico. L'autore è Goligher, sicuramente noto per articoli anche piuttosto controtendenza: ricordo un recente articolo in cui ipotizzava un aumento di mortalità dall'utilizzo di bassi volumi tidalici nella ventilazione, il contrario della letteratura degli ultimi 10 anni. Un fisiologo. Il pezzo da lui scritto colpisce un punto scoperto del mio pensiero, rivela dubbi mai sufficientemente sedati sulla metodologia del pensiero scientifico in medicina.


Come ho scritto in un articolo precedente, sono convinto che la medicina come scienza sia molto giovane e che stia percorrendo, in maniera impercettibile, la stessa strada percorsa da discipline più antiche.
Meno di quarant'anni fa nasceva il termine ormai inflazionato di "medicina basata sulle evidenze", e almeno per quello che è la mia esperienza, il concetto si infiltrava con difficoltà nella testa dei medici.
Non che si possa biasimarli (biasimarci?): costruire forti evidenze è molto difficile, i trial clinici - se fatti bene - spesso richiedono diversi anni e portano comunque a risultati che, come ogni dato scientifico, possono poi essere messi in dubbio o completamente scartati poco dopo. Ecco che il clinico si trova a navigare in un mare sconosciuto, in questo marasma di dati contrastanti, poco sicuri e a volte mal prodotti. Quanti sono i processi clinici su cui si potrebbe prendere indifferentemente una parte o l'altra, e facilmente difenderla con sapienza scientifica?
Questo secondo me è un forte motivo, oltre a quello ovviamente storico, per cui moltissime decisioni vengono prese non su una serie di dati scientifici ("si è visto che riduce la mortalità"), in un pensiero perfettamente induttivo, ma spesso su ragionamenti di stampo prettamente fisiologico, tramite invece il pensiero deduttivo.
Anche in medicina siamo finalmente allo scontro tra induttivismo e deduttivismo.

Faccio un esempio: nello stesso numero della rivista c'è un'interessante review dello shock cardiogenico. Riporta dei dati di uno studio (l'OptimaCC) in cui si confrontano adrenalina e noradrenalina. I risultati dello studio sono piuttosto chiari: la noradrenalina nello shock cardiogenico è meglio, e la review, pur facendo notare i limiti dell'OptimaCC, sconsiglia l'utilizzo prolungato dell'adrenalina.
I dati ci sono, il pensiero induttivo ha detto la sua.
Ma sono convinto che qualcuno come Golligher pretenderebbe di fare delle misure e di ragionare sulla fisiologia del paziente, scegliendo l'inotropo in base a questi dati.


Qual è l'approccio corretto?
Come evidenziato in quello che ragginge il livello di uno scambio epistolare tra il gruppo di Golligher e, sulla stessa rivista, quello di Shah, ancora una volta probabilmente la verità sta nel mezzo e, almeno finché non avremo a disposizione mezzi più concreti, i due sistemi, come sempre, dovranno essere utilizzati insieme.