Vaiolo delle scimmie, cosa sappiamo ora
- Elena Riboldi
- Notizie dalla letteratura
Messaggi chiave
- Il vaiolo delle scimmie solo raramente mette a rischio la vita del paziente, tuttavia forme severe della malattia con complicanze possono colpire anche i pazienti immunocompetenti.
- Analgesia e trattamento delle sovrainfezioni batteriche rappresentano le priorità nella gestione dei pazienti ospedalizzati.
Dopo l’inizio della pandemia di Covid-19, un’altra patologia infettiva ha creato preoccupazione e clamore attraverso i media internazionali: il vaiolo delle scimmie (monkeypox, mpox). Un articolo appena pubblicato sulla rivista Lancet Infectious Diseases fa il punto sull’esperienza raccolta nel Regno Unito nei mesi iniziali dalla comparsa dei primi casi. Quello che ne emerge è che le forme gravi sono rare, ma che non riguardano solo i soggetti immunodepressi. Il motivo più comune per cui i malati arrivano in ospedale è il dolore. L’analgesia, assieme alla prevenzione e al trattamento delle frequenti sovrainfezioni batteriche, è quindi un aspetto prioritario nell’assistenza a questi pazienti.
Il vaiolo delle scimmie è stato descritto per la prima volta agli inizi degli anni ‘70 nella Repubblica del Congo e nei decenni successivi casi sporadici e focolai di questa malattia sono stati registrati quasi esclusivamente nel continente africano. A maggio 2022 sono stati individuati diversi casi di vaiolo delle scimmie in soggetti che non erano stati in Africa. A settembre 2022 i casi confermati erano ben 67.000 in 106 Nazioni. La principale via di trasmissione è risultata essere quella sessuale. La maggior parte dei pazienti presentava lesioni in zona genitale, ano-rettale e orofaringea, aree più esposte al virus durante i rapporti. Circa l’8% dei pazienti ha richiesto il ricovero ospedaliero. Si stima che la mortalità sia inferiore allo 0,05%, tuttavia sono stati registrati tassi molto più elevati (anche il 21%) in pazienti immunocompromessi.
L’articolo appena pubblicato raccoglie un’analisi dettagliata di 156 casi di infezione da virus del vaiolo delle scimmie (MPXV), confermata dalle analisi di laboratorio, che hanno richiesto l’ospedalizzazione tra maggio e agosto 2022 in Inghilterra e Irlanda del Nord. I pazienti erano quasi tutti (98%) di sesso maschile e avevano un’età mediana di 35 anni. La maggior parte di loro (139 dei 155 pazienti che avevano dichiarato il proprio orientamento sessuale) si identificava come appartenente alla comunità GBMSM (gay, bisessuali, uomini che hanno rapporti sessuali con uomini). Quasi un terzo dei pazienti aveva un’infezione da HIV e il 6% era fortemente immunodepresso a causa dell’HIV, di terapie anti-rigetto o terapie biologiche.
L’indicazione più frequente per il ricovero era il dolore rettale o perianale (28%); il 57% dei pazienti presentava dolore severo. Il 58% dei ricoverati per vaiolo delle scimmie aveva un’infezione batterica secondaria. Il ricovero, che avveniva solitamente 7 giorni dopo l’insorgenza dei sintomi, durava in genere 5 giorni. Sono stati registrati 2 casi di encefalite da monkeypox virus e 5 di complicanze oculari gravi. Il 6% dei pazienti è sottoposto a procedure chirurgiche, prevalentemente per il debridement o il drenaggio di infezioni batteriche della pelle e dei tessuti molli.
Non esiste una terapia specifica per il vaiolo delle scimmie, ma in molti Paesi si è utilizzato il tecovirimat, un farmaco attivo in vitro contro il virus del vaiolo. Il 24% dei pazienti dello studio UK era stato trattato con questo farmaco. Solo 4 dei 38 pazienti hanno sospeso il trattamento, due dei quali per aumento delle transaminasi. Durante il periodo di studio non si è verificato nessun decesso.
“La nostra analisi di un’ampia popolazione di individui ammessi in ospedale con mpox e relative complicanze nel Regno Unito serve da salutare promemoria del fatto che, seppur lievi nella maggior parte degli infettati, il MPXV clade II può causare varie complicanze negli adulti immunocompetenti che spesso richiedono una gestione ospedaliera multidisciplinare – commentano gli autori. Il tecovirimat appare essere ben tollerato, tuttavia serviranno studi randomizzati controllati per stabilirne l’efficacia nel prevenire e curare la forma severa della malattia e le complicanze. Altri studi saranno poi necessari per identificare le cause di disfunzione epatica nei pazienti con mpox”.
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