Una nuova chance per l’ipertensione resistente

  • Elena Riboldi
  • Uniflash
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I risultati dello studio di fase 2 BrigHTN dimostrano che baxdrostat abbassa considerevolmente la pressione sanguigna in pazienti con ipertensione resistente. A differenza di altre molecole testate in precedenza, baxdrostat inibisce la sintesi dell’aldosterone senza inibire quella del cortisolo. Se efficacia e sicurezza venissero confermate in fase 3, potrebbe diventare il prototipo della prima nuova classe di farmaci antipertensivi a essere introdotta in clinica dal 2007.

 

L’aldosterone nell’ipertensione resistente

Il 10-20% dei pazienti ipertesi presenta ipertensione resistente, ovvero una pressione ambulatoriale superiore a 130/80 mm Hg nonostante il trattamento con almeno tre antipertensivi dal diverso meccanismo d’azione (un diuretico più un farmaco che agisce sul sistema renina-angiotensina e un calcio-antagonista) al dosaggio massimo tollerato. Ovviamente si può parlare di ipertensione resistente solo se il paziente aderisce alla terapia in maniera completa.

Poiché la resistenza ai trattamenti è stata associata a una secrezione eccessiva di aldosterone, questo ormone è il target logico su cui agire. Una prima strategia possibile è usare un antagonista del recettore dei mineralcorticoidi. Lo spironolattone è efficace, ma il suo uso è limitato dagli effetti collaterali (ginecomastia negli uomini e irregolarità mestruali e sanguinamento post-menopausale nella donna); in più, non essendo selettivo, lo spironolattone aumenta il rischio di ipercaliemia.

L’alternativa è bloccare la sintesi dell’aldosterone, strategia resa però complicata dal fatto che la sequenza amminoacidica dell’aldosterone sintasi è per il 93% identica a quella della 11β-idrolasi, necessaria per la sintesi del cortisolo. Negli studi preclinici e di fase 1 l’inibitore baxdrostat ha dimostrato un’elevata selettività (100:1) per l’aldosterone sintasi.

 

Lo studio BrigHTN

Lo studio randomizzato controllato con placebo ha arruolato 248 pazienti con ipertensione resistente. Sono state testate tre dosi di baxdrostat (2,1 o 0,5 mg/die). L’endpoint primario era la variazione della pressione sistolica alla fine della dodicesima settimana di trattamento.

Rispetto alla baseline, la pressione si è ridotta di 20,3, 17,5, 12,1 e 9,4 mm Hg, rispettivamente, nei pazienti assegnati a baxdrostat 2 mg, 1 mg, 0,5 mg e al placebo. Erano statisticamente significative le variazioni osservate con baxdrostat 2 mg (-11,0 mm Hg [95%CI da -16,4 a -5,5] rispetto al placebo; P<0,001) e baxdrostat 1 mg (-8,1 mm Hg [95%CI da -13,5 a -2,8]; P=0,003), ma non quella osservata con baxdrostat al dosaggio più basso. Dal punto di vista della sicurezza non si sono verificati decessi e non sono stati registrati eventi avversi gravi attribuiti al baxdrostat. Non sono emersi problemi di insufficienza adrenocorticale.

 

Attenzione al potassio

Due dei pazienti trattati con l’inibitore hanno avuto un innalzamento del potassio a livelli superiori a 6,0 mmol/L, tuttavia l’ipercaliemia si è risolta dopo interruzione del trattamento e non si è ripresentata quando il paziente è tornato ad assumere il baxdrostat.

Nell’editoriale che accompagna l’articolo sul New England Journal of Medicine, Michael Azizi, a capo dell’Unità di Ipertensione dell’Ospedale Europeo Georges Pompidou di Parigi, sottolinea come il fatto che uno dei criteri di esclusione fosse un eGFR <45 ml/min/1,73 m2 abbia ridotto la probabilità di osservare ipercaliemia, un problema che potrebbe quindi essere stato sottostimato. “Se il baxdrostat dovesse entrare in commercio – scrive – si renderebbe necessario il monitoraggio del potassio sierico e dei livelli di creatinina, come è necessario per gli antagonisti del recettore dei mineralcorticoidi”.

“Si aprono nuove prospettive per la cura dei pazienti con ipertensione resistente e anche di quelli con aldosteronismo primario – commenta Azizi – Tuttavia, servono studi più ampi e più lunghi che includano il monitoraggio ambulatoriale della pressione su 24 ore e l’analisi del profilo steroideo, in cui ci sia un gruppo di controllo attivo trattato con un antagonista del recettore dei mineralcorticoidi”.