Un tumore in età giovanile lascia il segno sulla psiche

  • Elena Riboldi
  • Uniflash
L'accesso ai contenuti di questo sito è riservato agli operatori del settore sanitario italiano L'accesso ai contenuti di questo sito è riservato agli operatori del settore sanitario italiano

Chi affronta una diagnosi di cancro e le cure oncologiche durante l’infanzia, l’adolescenza o la giovinezza può pagarne il prezzo in termini di salute mentale ancora a distanza di anni. I risultati di una metanalisi pubblicata sulla rivista JAMA Pediatrics mostrano infatti che, rispetto ai coetanei e ai fratelli, questi soggetti hanno un rischio più alto di soffrire di depressione, ansia, disturbi psicotici e schizofrenia anche anni dopo la remissione della malattia. La tarda adolescenza sembrerebbe un periodo particolarmente delicato visto che una diagnosi di tumore a 15-19 anni appare aumentare il rischio di morire suicida. La vulnerabilità dei giovani pazienti oncologici non va mai sottovalutata, al contrario bisogna offrire supporto psicologico anche una volta conclusi i trattamenti antitumorali.

 

Chi è a rischio

Gli autori dello studio hanno identificato 52 studi pubblicati tra il 2000 e il 2022 che si erano occupati delle sequele psicologiche del cancro nelle fasce d’età giovanili. La metanalisi ha rivelato che aver ricevuto una diagnosi di tumore prima dei 25 anni si associa a un rischio più alto di soffrire di depressione (RR 1,57 [95%CI 1,29-1,92]), ansia (RR 1,29 [1,14-1,47]) e disturbi psicotici inclusa la schizofrenia (RR 1,56 [1,36-1,80]) nel corso della vita. Ansia e depressione erano particolarmente comuni tra i pazienti che al momento dell’indagine avevano superato, rispettivamente, 25 e 30 anni.

Anche se complessivamente il rischio di mortalità per suicidio non era più alto nei cancer survivors, alcuni degli studi analizzati hanno mostrato un aumentato rischio tra i pazienti diagnosticati nella tarda adolescenza (15-19 anni; RR 1,61 [1,09-2,39]) e in quelli colpiti da tumori al sistema nervoso centrale (RR 1,49 [1,08-2,05]).

L’esame delle caratteristiche dei partecipanti agli studi indica che anche nei pazienti più giovani, come riportato in letteratura per quelli adulti, un ambiente sociale positivo, un forte supporto sociale, un livello di istruzione più alto e uno status socioeconomico più elevato si associano a una migliore salute mentale.

 

È tempo di agire

“I giovani che ricevono terapie contro il cancro chiaramente necessitano supporto psicosociale, ma troppo spesso questo bisogno non trova risposta – commentano in un editoriale Abby R. Rosenberg e Anna C. Muriel del Dana-Farber Cancer Institute – Tuttavia i dati suggeriscono che anche semplici programmi in cui si insegnano abilità come la gestione dello stress possono migliorare il distress e la qualità della vita durante i primi due critici anni di cure oncologiche di un adolescente. Anche programmi che insegnano abilità di problem-solving ai genitori possono migliorare il funzionamento parentale e gli esiti psicosociali del bambino”.

Gli interventi devono riguardare non solo i pazienti in cura, ma anche coloro che continuano a provare disagio psicologico dopo che il cancro è andato in remissione. Rosenberg e Muriel sottolineano che i survivors, specialmente quelli che passano dall’assistenza pediatrica a quella dell’adulto, spesso riferiscono di avere difficoltà ad avere accesso a servizi di salute mentale. 

“I risultati di questo studio offrono alla comunità oncologica che si occupa di bambini, adolescenti e giovani adulti un’opportunità: possiamo mettere da parte il dibattito sui rischi per la salute mentale dei cancer survivors. Possiamo accettare il fatto che questi pazienti hanno maggiori probabilità di soffrire di depressione, ansia, disturbi psicotici e, in alcuni casi, un rischio più alto di morire suicidi – concludono – Possiamo perciò concentrare le nostre energie su come soddisfare i bisogni di ciascun paziente in tempo reale, avendo particolare attenzione per quelli maggiormente a rischio”.