Un nuovo fattore prognostico per il tumore della prostata

  • Elena Riboldi
  • Notizie dalla letteratura
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Uno studio dell’Università di Verona suggerisce che la densità del testosterone endogeno (endogenous testosterone density, ETD) misurata prima della prostatectomia possa essere utilizzata per predire la progressione del tumore della prostata (PCa) in pazienti con tumori impalpabili e valori di antigene prostatico specifico (PSA) fino a 10 ng/ml.

L’EDT consiste nel rapporto tra la concentrazione del testosterone endogeno (ET) e il volume della prostata (PV). Avendo osservato un’associazione tra EDT e forme aggressive di PCa, gli autori dello studio, pubblicato sulla rivista International Urology and Nephrology, ne hanno voluto esplorare il valore prognostico. Per fare questo hanno arruolato 805 pazienti consecutivi che non avevano ricevuto la terapia anti-androgenica e venivano trattati chirurgicamente. Sono stati misurati l’ET (almeno un mese prima della prostatectomia) e il PV (mediante ecografia transrettale) ed è stato quindi valutato il rischio di progressione.

L’analisi ha incluso 433 pazienti con tumori localizzati impalpabili e PSA≤10 ng/ml, per 353 dei quali era disponibile il follow-up (mediana 42 mesi). Nel 46,7% dei casi la malattia era sfavorevole (grado ≥3 secondo la classificazione dell’International Society of Urological Pathology [ISUP] e/o invasione delle vescicole seminali nel campione chirurgico). In 46 casi (13%) la malattia è progredita. Tra quelli esaminati, l’unico fattore che risultava in grado di predire la progressione era l’EDT (HR=1,037; 95%CI 1,004-1,072; P=0,030). Nell’analisi multivariata, un valore di EDT che rientrava nel quarto quartile (EDT>Q3) era un fattore predittivo indipendente di progressione del PCa (HR=2,479; 95%CI 1,355-4,534; P=0,0003). Ciò era vero per tutte le classi di rischio dei due principali sistemi di classificazione (NCCN ed EAU).

“Il rischio di progressione di malattia aumentava all’aumentare dell’EDT, ma i livelli di ET erano significativamente più bassi per i tumori che progredivano – sottolineano gli autori – In questo sottogruppo di pazienti, EDT elevata e bassi livelli di EDT, che indicano un’indipendenza dagli androgeni, si traducevano in una malattia più aggressiva con una prognosi più sfavorevole”.

“I risultati del nostro studio hanno implicazioni cliniche – concludono, sottolineando che il sottogruppo considerato è incontrato frequentemente nella pratica quotidiana – Questi risultati potrebbero essere utili per il medico per decidere la gestione appropriata del paziente alla diagnosi e dopo i trattamenti primari. Potrebbero essere integrati con i risultati della risonanza magnetica multiparametrica della prostata, anche se serviranno studi controllati per verificarlo”.