Tumore renale: una revisione dei benefici in termini di sopravvivenza degli inibitori del checkpoint immunitario
- Univadis
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Una revisione sistematica delle combinazioni di inibitori del checkpoint immunitario (immune checkpoint inhibitor, ICI) per il tumore renale in stadio avanzato indica che il trattamento con ICI possiede un beneficio significativo in termini di sopravvivenza rispetto all’inibitore tirosin-chinasico (tyrosine-kinase inhibitor, TKI) sunitinib. Il trattamento combinato deve essere reso prontamente disponibile in tutto il mondo ai pazienti affetti da carcinoma a cellule renali (renal cell carcinomna, RCC) in stadio avanzato, affermano gli autori.
Fino a non molto tempo fa la terapia di prima linea per l’RCC prevedeva principalmente TKI mirati al fattore di crescita dell’endotelio vascolare (vascular endothelial growth factor, VEGF) e ad altri recettori, compresi sunitinib e pazopanib. L’esplorazione di nuovi regimi terapeutici si è concentrata sull’uso di molteplici TKI in combinazione con anticorpi monoclonali che inibiscono direttamente il VEGF e agiscono come inibitori del bersaglio della rapamicina nei mammiferi, come everolimus.
Alcuni ICI sono già diventati il trattamento di prima linea di elezione per l’RCC. Si ritiene che gli inibitori di VEGF e del recettore di VEGF abbiano effetti immunomodulatori, che includono un miglioramento dell’infiltrazione delle cellule immunitarie grazie al loro effetto sulla vascolarizzazione del tumore.
In una revisione pubblicata online su Therapeutic Advances in Medical Oncology, i ricercatori hanno esaminato 6 sperimentazioni cliniche di fase 3. Tutte hanno confrontato combinazioni di ICI con sunitinib come terapia di prima linea per l’RCC in stadio avanzato o metastatico. Quattro studi hanno valutato combinazioni TKI/ICI, 1 studio ha valutato la combinazione ICI/anticorpi anti-VEGF e un altro studio due ICI in combinazione.
Dopo follow-up mediani di 20–30 mesi non è stato osservato alcun beneficio per le combinazioni di inibitori del ligando 1 della proteina di morte cellulare programmata (atezolizumab più bevacizumab o avelumab più axitinib) rispetto a sunitinib. Le analisi finali della sopravvivenza di una delle sperimentazioni non sono ancora state pubblicate.
Nivolumab più ipilimumab hanno determinato una riduzione del 32% del rischio di decesso dei pazienti a rischio intermedio/sfavorevole rispetto a sunitinib, ma la combinazione ha causato interruzioni più frequenti del trattamento a causa di tossicità (21,8% vs. 12,3%). Nivolumab più cabozantinib hanno ottenuto una riduzione del 34% del rischio di decesso (P=0,003) e una riduzione del 48% del rischio di progressione (P<0,0001). I tassi di interruzione del trattamento a causa di tossicità sono risultati simili a quelli osservati con sunitinib.
Pembrolizumab in combinazione con TKI ha determinato una riduzione del 32% del rischio di decesso (P=0,003) e una riduzione del 29% del rischio di progressione (P<0,001). Pembrolizumab più lenvatinib hanno ridotto il rischio di decesso del 28% (valore P non riportato) e il rischio di progressione del 61% (P<0,001). Con entrambe le combinazioni è stata osservata una maggiore frequenza di interruzioni del trattamento a causa di tossicità rispetto a sunitinib (rispettivamente 25,9% vs. 10,1% e 37,2% vs. 14,4%).
Data la mancanza di confronti diretti tra le combinazioni di due ICI e le combinazioni inibitori della proteina di morte cellulare programmata (programmed death 1, PD-1)/TKI, i ricercatori suggeriscono che gli esiti in termini di risposta possono essere utili nella scelta tra i due approcci. Complessivamente, le combinazioni inibitori di PD-1/TKI hanno evidenziato tassi di risposta complessiva migliori. Il tasso più alto è stato osservato con pembrolizumab più lenvatinib, con una frequenza di progressione della malattia variabile tra il 5,4% e l’11,3%. I tassi di risposta completa variavano tra l’8% e il 10%.
Gli autori suggeriscono che il trattamento iniziale con un inibitore di PD-1 e un TKI potrebbe essere appropriato per i pazienti con un elevato carico tumorale o con malattia aggressiva, nei quali è urgente fermare la crescita del tumore e la progressione potrebbe essere particolarmente preoccupante.
I problemi di sicurezza associati alla terapia con combinazioni di due ICI sono risultati simili a quelli osservati nell’RCC e in altri tumori. Rinvii della dose, rapidi iter diagnostici, tempistica appropriata e uso di glucocorticoidi sono state alcune delle strategie utilizzate per gestire gli eventi avversi correlati al trattamento.
I fattori da valutare nella selezione del trattamento includono le caratteristiche del paziente e della malattia, lo stato di rischio secondo i criteri dell’International Metastatic RCC Database Consortium, la storia del trattamento durante stadi meno avanzati della malattia e l’idoneità all’immunoterapia.
L’articolo è un adattamento dell’originale, scritto da Jim Kling, apparso su MDedge.com, parte di Medscape Professional Network.
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