Tenersi pronti per la febbre emorragica Crimea-Congo

  • Massimo Sandal
  • Uniflash
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Un virus pericoloso si sta lentamente diffondendo in Europa. È quello della febbre emorragica Crimea-Congo, o CCHF, che può essere letale nel 5% dei casi. Nonostante non abbia ancora causato focolai in Italia, il virus è presente nel nostro Paese già da qualche anno, all’interno delle zecche che lo trasmettono. Per questo è importante essere preparati: vediamo di che si tratta, come identificarla, e quali opzioni ci sono per contrastarla.

 

Che cos’è la CCHF

La CCHF è stata descritta per la prima volta tra le truppe sovietiche in Crimea nel 1944, mentre il virus è stato identificato in Congo nel 1956. Oggi è presente in Africa, Asia (sotto il 50esimo parallelo), in vicino Oriente e nell’Europa orientale inclusi i Balcani. Nel complesso è la seconda febbre emorragica più diffusa dopo la dengue, con una media di 10-15.000 casi e 500 decessi ogni anno. Dal 2015 l’OMS la considera una delle malattie infettive di importanza prioritaria e dal potenziale pandemico

L’agente patogeno della CCHF è un arbovirus a RNA antisenso, della famiglia Nairoviridae. Ne sono conosciuti almeno nove ceppi geneticamente distinti. A causa della facilità di trasmissione e dell’alto tasso di mortalità è considerato un patogeno di livello 4 di biosicurezza.

I principali vettori del virus della CCHF sono le zecche del genere Hyalomma, che infestano sia mammiferi e uccelli selvatici, sia capi di bestiame, principalmente in primavera ed estate. Sebbene il virus sia in grado di infettare e replicarsi in numerose specie di mammiferi, ma causa malattia grave pressoché solo negli esseri umani. Gli uccelli, benché non colpiti dal virus, possono comunque trasportare zecche infette anche per grandi distanze, contribuendo alla sua diffusione geografica. La CCHF può trasmettersi anche attraverso il contatto con fluidi organici animali, ad esempio durante la cura e la macellazione di bestiame infetto. Inoltre sono stati documentati casi di contagio tra esseri umani, specialmente in contesto nosocomiale e per via sessuale; è possibile la trasmissione tramite aerosol. 

 

Perché preoccuparsi proprio adesso?

Nel 2016, nella provincia di Àvila, in Spagna, un uomo di 62 anni è deceduto nove giorni dopo essere stato morso da una zecca durante un'escursione. Fu il primo caso di CCHF riconosciuto in Europa occidentale, se si escludono sporadici casi contratti da viaggiatori in Paesi dove il virus è endemico. In realtà la CCHF era già presente da tempo. Il virus della CCHF era stato identificato in Spagna, nelle zecche, già nel 2010, e un altro caso di infezione nella stessa regione spagnola, risalente al 2013, venne identificato retrospettivamente nel 2020. Ad agosto 2022 erano stati riportati 13 casi in Spagna, con 4 decessi. 

Ma non c’è solo la Spagna. La CCHF potrebbe diventare ancora sempre più diffusa in Europa a causa del cambiamento climatico, che sta ampliando l'habitat delle zecche. Oltre alla Spagna, zecche infette sono state segnalate in Olanda nel 2007, in Germania nel 2016 e in Svezia nel 2018. Anche se nei Paesi più freddi la diffusione delle zecche potrebbe essere limitata dal clima, in Italia e in altri Paesi dell'Europa centrale i modelli indicano una buona probabilità di insediamento di Hyalomma, in particolare a causa del cambiamento climatico.

In Italia, il virus della CCHF è stato individuato per la prima volta nell’ aprile 2017, in una zecca Hyalomma rufipes isolata da un uccello sull’isola di Ventotene. Secondo un’analisi del 2021, l’Italia è il Paese europeo a più alto rischio di introduzione e diffusione del virus, seguito dalla Francia. Una volta introdotta, la CCHF può diffondersi rapidamente e diventare endemica, come dimostra il caso della Turchia. Il primo caso di CCHF in Turchia è del 2009; sette anni dopo il Paese aveva già registrato 5000 casi, e oggi la Turchia è diventata uno dei principali epicentri della malattia nel mondo, con una media di 1000 casi l’anno e un’alta prevalenza del virus nelle zecche e nel bestiame. 

 

Sintomi e decorso

La diagnosi tempestiva è essenziale per il management della CCHF, sia per la prognosi del paziente, sia per proteggere operatori sanitari e altre persone dal rischio di infezione. Si sospetta CCHF in caso una persona con possibile esposizione al virus (puntura di zecca o contatto con fluidi organici di capi d’allevamento) mostri sintomi acuti parainfluenzali, come febbre alta e malessere, assieme a segni di difetti della coagulazione e di permeabilità dei vasi sanguigni. La presenza del virus può essere confermata da test serologici o PCR. 

In media la CCHF ha un periodo di incubazione di 1-9 giorni. Nella prima fase, pre-emorragica, che dura da 1 a 7 giorni, emergono rapidamente sintomi poco specifici come febbre alta (39-41°), cefalea, malessere, vertigini, dolori muscolari, fotofobia, dolore addominale, diarrea e vomito, mal di gola. Si può osservare iperemia del volto, collo e petto, congiuntivite e ittero, oltre a ingrossamento del fegato e della milza.

In seguito subentra la fase emorragica, di solito breve (2-3 giorni) ma che può protrarsi fino a due settimane. Questa fase è caratterizzata da emorragie diffuse, con petecchie ed ecchimosi particolarmente pronunciate, caratteristica questa che distingue la CCHF da altre febbri emorragiche. Epistassi, melena, ematemesi, ematuria e sanguinamento dai siti di iniezione sono molto comuni; è stato osservato anche sanguinamento cerebrale, vaginale e uterino. I valori ematologici sono alterati, con trombocitopenia, leucopenia e livelli elevati di transaminasi, lattato deidrogenasi e creatina fosfochinasi - in particolare transaminasi elevate, trombocitopenia e innalzamento di citochine infiammatorie indicano prognosi negativa. Si osservano anche disturbi della coagulazione. Nei casi più gravi la malattia prosegue in coagulazione disseminata intravascolare, con insufficienza renale, epatica, polmonare e shock, che può portare al decesso nella seconda settimana di malattia.

Se il paziente sopravvive, la convalescenza è spesso prolungata, con strascichi che includono problemi respiratori, ipotensione, tachicardia o bradicardia, xerostomia, problemi visivi e uditivi, perdita di capelli e disturbi della memoria. I sopravvissuti sviluppano spesso immunità al virus. Di norma la malattia è meno grave nei bambini, mentre le comorbidità e l’età superiore a 60 anni sono fattori negativi. 

La mortalità registrata varia dal 3 al 40% ( secondo l’ECDC, 30% nei pazienti ricoverati). Nelle serie di casi più ampie è stato riscontrato che esiste un’ampia prevalenza di casi leggeri o subclinici, e probabilmente la maggior parte delle esposizioni al virus è asintomatica. In un’analisi di 6000 casi riportati in Turchia, la mortalità è stata intorno al 5%, anche grazie all’esperienza che il Paese ha maturato nel riconoscere la malattia. 

 

Che fare?

Al momento non esistono vaccini o terapie riconosciute contro la CCHF. L’OMS raccomanda l’antivirale ribavirina, somministrato dopo l’esposizione o al comparire dei primi sintomi, ma al momento non ci sono evidenze scientifiche di buona qualità sulla sua efficacia. Uno studio su animali suggerisce che il favipiravir possa essere efficace ma non esistono studi sull’essere umano. Vaccini sono allo studio, e in passato alcuni vaccini sperimentali sono stati usati in Russia e in Bulgaria, ma nessuno è attualmente approvato dall’EMA o dalla FDA.

Il management della malattia è quindi sintomatico, con attenzione allo stato della coagulazione, e monitoraggio costante dei parametri ematici e del funzionamento degli organi. Deve essere mantenuto un adeguato livello di elettroliti, ed è bene evitare l’uso di FANS a causa dei possibili effetti sulla coagulazione. In caso di emorragia, sono necessarie trasfusioni di piastrine e plasma. Gli operatori sanitari che sospettino un caso di CCHF dovrebbero usare tutte le possibili protezioni, come mascherine, occhiali protettivi e camice impermeabile.

La principale linea di difesa contro la CCHF resta comunque la prevenzione: educare il pubblico a indossare abiti coprenti in zone che possono ospitare zecche e a riconoscere i primi sintomi. I lavoratori dei macelli devono usare abbigliamento protettivo per limitare il contatto con i fluidi di animali potenzialmente infetti. Gli esempi di Turchia e Spagna indicano che, nel momento in cui zecche infette si sono stabilite sul territorio, è plausibile che prima o poi si presentino casi di CCHF. Come ci ha insegnato la pandemia di Covid-19, la preparazione e la rapidità di intervento sono cruciali per contenere nuove malattie infettive. La consapevolezza dei medici di medicina generale e del pubblico sulla possibile comparsa della CCHF in Italia è essenziale per fronteggiare questa possibile minaccia alla salute pubblica.