Tecniche di procreazione assistita: la salute cardiaca delle madri è a rischio?

  • Alessia De Chiara
  • Uniflash
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Le donne che hanno dato alla luce un figlio grazie a tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA) non hanno un rischio aumentato di malattie cardiovascolari (CVD) rispetto a quelle che hanno concepito in maniera naturale. È quanto emerge da uno studio condotto in quattro paesi del Nord-Europa che ha analizzato il rischio delle partecipanti lungo un follow-up mediano di 11 anni. “Questi risultati possono essere rassicuranti per il crescente numero di persone che per concepire richiedono l’assistenza della PMA – scrivono i ricercatori su JAMA Cardiology – Studi futuri con un follow-up più lungo potrebbero essere utili per riesaminare le differenze nel rischio di CVD in base ai metodi di PMA”.

 

L’incertezza

“Esistono diverse potenziali spiegazioni su come l’uso della PMA potrebbe aumentare le CVD” si spiega nell’articolo. Il rischio potrebbe crescere, per esempio, a causa dell’iperstimolazione ovarica che contribuisce a uno stato pro-trombotico e al danno endoteliale e, inoltre, alcune condizioni che favoriscono l’infertilità - e quindi il ricorso a queste tecniche per concepire, come l’endometriosi e la sindrome dell’ovaio policistico - sono legate proprio a un rischio più alto di CVD. 

Gli studi sull’argomento sono pochi e una recente metanalisi di 6 studi non permetteva, a detta degli stessi autori, di trarre conclusioni definitive a causa del breve follow-up, dell’eterogeneità e del basso numero di eventi riportati.

 

Rischio maggiore?

Allo scopo di analizzare l’associazione tra PMA e rischio di CVD tra le diverse gestanti, il gruppo di ricerca ha fatto ricorso al Committee of Nordic ART and Safety, che collega i dati delle nascite avvenute negli ultimi decenni in Danimarca (1994-2014), Norvegia (1984-2015), Finlandia (1990-2014) e Svezia (1985-2015).

Su quasi 2,5 milioni di donne incluse, nullipare all’inizio del follow-up e senza CVD, il 4% aveva partorito in seguito a PMA. Queste avevano un’età media più elevata al parto rispetto alle donne che non avevano utilizzato PMA (33,8 contro 29,1) e una prevalenza maggiore di una cattiva salute cardiovascolare prima della gravidanza.

È stato calcolato un tasso di CVD di 153 per 100.000 anni persona e non sono state osservate differenze nel rischio di qualsiasi malattia cardiovascolare tra le donne che avevano avuto un figlio grazie alla PMA e a quelle che lo avevano fatto senza ricorrervi. È stata comunque notata una certa eterogeneità tra i diversi Paesi.

L’analisi dei sottogruppi di CVD non ha prodotto differenze significative nel rischio di cardiopatia ischemica, malattia cerebrovascolare, ictus, cardiomiopatia, insufficienza cardiaca, embolia polmonare o trombosi venosa profonda. È però emerso un rischio più basso di infarto del miocardio tra chi aveva usato la PMA (HR combinato 0,80).

 

Un campo aperto

I ricercatori hanno notato differenze in base ai metodi di PMA, con un rischio più alto di ictus tra le donne avevano utilizzato il trasferimento di embrioni congelati e un rischio ridotto della maggior parte dei sottotipi di CVD tra quelle che avevano eseguito l’iniezione intracitoplasmatica di spermatozoi (ICSI) ma non tra quelle che avevano utilizzato la fecondazione in vitro senza ICSI. Gli autori ipotizzano che tale dato possa essere collegato non tanto alla PMA bensì alla probabile assenza di problemi di fertilità nelle donne che utilizzano questa opzione, scelta più per patologie maschili. I ricercatori sottolineano però l’esigenza di studi più ampi con follow-up più lunghi.

“Come emerge da questo campione e da altri studi, le persone che hanno utilizzato la PMA avevano molte più probabilità di avere una cattiva salute cardiovascolare prima della gravidanza, il che suggerisce che l’uso di PMA riflette il rischio preesistente o sottostante di CVD” si legge in un editoriale correlato. Per gli autori questa osservazione, insieme ad altre, dà risalto al concetto sottolineato di recente dall’American Heart Association secondo cui il rischio di CVD viene smascherato durante la gravidanza e il periodo del peripartum, che costituisce una fase importante nel corso della vita riproduttiva.