Studio, sangue cordone ombelicale per terapie su grandi prematuri

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Roma, 10 lug. (Adnkronos Salute) - Una ricerca del Policlinico Gemelli-Università Cattolica di Roma, pubblicato sul 'British Journal of Hematology', ha evidenziato la possibilità di usare il sangue da cordone ombelicale per le terapie sui neonati cosidetti grandi prematuri, ovvero che alla nascita pesano meno di un chilo. Dunque il sangue da cordone non più solo come fonte di cellule staminali per trattare malattie del sangue e tumori nei bambini, ma anche risorsa per proteggere i più piccoli con trasfusioni più adatte al loro organismo.

"Uno studio recente- afferma Luciana Teofili, direttore medico della Banca del cordone del Policlinico Gemelli Irccs, ricercatore di Malattie del sangue Università Cattolica, campus di Roma - ha evidenziato un’associazione tra livelli di emoglobina fetale e retinopatia dei prematuri, nei bambini nati molto pretermine (i piccoli con un patrimonio di emoglobina fetale inferiore al 60% sono quelli più a rischio di complicanze). Di qui l’idea che sostituire l’emoglobina fetale con quella adulta, facendo ripetute trasfusioni, possa aumentare il rischio di incorrere nella retinopatia della prematurità (Rop),condizione che rappresenta la più frequente causa di cecità pediatrica"

"I fattori maggiormente responsabili delle patologie dei prematuri – spiega Patrizia Papacci, Uoc di Neonatologia del Gemelli - sono il basso peso alla nascita (inferiore a un chilo) e la bassa età gestazionale (inferiore alle 30 settimane). Ma alla base di tutto questo vi è il danno ossidativo da radicali dell’ossigeno. Il feto vive in un ambiente sostanzialmente povero di ossigeno e nei prematuri le strutture anatomiche (il microcircolo e funzionali (i livelli degli enzimi antiossidanti) non sono pronte a sopportare alti livelli di ossigeno. Grandi passi avanti sono stati fatti riducendo la somministrazione di ossigeno (sono stati adottati target di saturazione arteriosa di ossigeno più bassi nell’assistenza dei neonati prematuri subito dopo la nascita). Ma la Rop la ritroviamo anche nei neonati che non hanno fatto tanto ossigeno-terapia. Questa complicanza colpisce dal 2 al 6% dei pretermine".

La spiegazione di questo fenomeno può risiedere nel fatto che i bimbi più piccoli necessitano spesso di un gran numero di trasfusioni, a volte oltre 10 micro-trasfusioni di globuli rossi concentrati, finendo di fatto col sostituire con sangue adulto tutto il volume ematico del neonato, impoverendolo di emoglobina fetale. Ma è possibile trasfondere direttamente emoglobina fetale, prelevandola dal cordone ombelicale?

Per verificare questa ipotesi, i ricercatori del Gemelli hanno condotto una ricerca che ha dimostrato non solo la fattibilità delle trasfusioni da sangue cordonale, ma anche che queste mettono al riparo dalla deplezione di emoglobina fetale, così preziosa nei grandi prematuri. "Quello appena pubblicato – spiega Teofili - è uno studio 'proof of concept'; ora stiamo organizzando uno studio multicentrico con outcome clinici per vedere quanta disabilità si riesce a risparmiare con questa pratica. Il razionale delle trasfusioni di sangue cordonale è di una logica ineccepibile: il pretermine vive di emoglobina fetale; i suoi tessuti sono preparati a quell’emoglobina e non a quella adulta per varie settimane dopo la nascita prematura, fino al raggiungimento dell’età corrispondente alla data della nascita a termine.”

“Il Gemelli – ricorda Papacci - è il centro di riferimento per tutto il centro-sud per la retinopatia dei prematuri, per la quale stiamo cominciando ad utilizzare una terapia farmacologica con gli anti-VEGF, mentre in gran parte d’Italia si usa ancora solo il laser. La retina è un tessuto molto fragile e può essere danneggiata da un eccesso di ossigeno. Il sangue fetale rilascia le giuste quantità di ossigeno; con questo nuovo studio andremo dunque a valutare l’impatto delle trasfusioni di sangue cordonale sullo sviluppo dei vasi retinici e sulla ROP, una vasculopatia retinica che porta al distacco di retina”.

Ma per poter diffondere la pratica delle trasfusioni di sangue cordonale, è necessario aumentare le fonti di materia prima. "Al momento – avverte Teofili - non abbiamo la possibilità di fare trasfusioni di sangue fetale a tutti i bambini perché le donazioni di cordone, almeno nel nostro Policlinico, avvengono solo nel 20% circa di tutte le nascite. Al Gemelli, la banca del cordone è stata istituita nel 2003. Attualmente oltre 630 cordoni della nostra banca sono esposti nella rete nazionale e sono dunque accessibili ai centri trapianto per pazienti che non hanno un donatore familiare".

Uno dei problemi di queste banche è la loro sostenibilità economica. Il sistema è infatti molto costoso e consente di curare un numero limitato di pazienti. L’unica indicazione supportata da evidenze scientifiche per l’utilizzo del sangue cordonale è stata finora il trapianto di pazienti con problemi ematologici. "Finora – prosegue Teofili - abbiamo utilizzato i cordoni solo come fonte di cellule staminali. Ma uno dei punti deboli della donazione del cordone è che, per garantire il recupero della funzione ematopoietica, occorre che le staminali siano tante. E quando andiamo a valutare i cordoni, gran parte di queste unità non risultano idonee al trapianto (per la scarsità delle cellule staminali) e vengono dunque scartate".

"Da qui l’idea di utilizzare il sangue di cordone ombelicale anche per trasfondere i grandi prematuri - ricorda Teofili - Dopo aver recuperato i globuli rossi dal sangue cordonale, si effettuano tutti gli esami e i trattamenti inerenti alla pratica trasfusionale (compatibilità dei gruppi sanguigni, leucodeplezione, filtrazione, irradiazione) e sui campioni di sangue materno raccolti contestualmente all’unità cordonale vengono eseguiti gli esami microbiologici per escludere la presenza di malattie infettive. Di fatto, da ogni unità di sangue cordonale si può ottenere una unità di emazie concentrate sufficiente per una micro-trasfusione", conclude Teofili ringraziando "le associazioni di volontariato Genitin Onlus e Gruppo donatori Sangue Francesco Olgiati che in questi anni hanno sempre supportato le nostre ricerche",