Soberana e Abdala, i vaccini cubani tra ricerca indipendente, politica e prove di efficacia
- Daniela Ovadia — Agenzia Zoe
- Attualità mediche
di Carlotta Micaela Jarach e Fabio Turone (Agenzia Zoe)
Secondo le ultime rilevazioni ufficiali [1], il 93% dei cubani è parzialmente o completamente vaccinato contro COVID-19, ben 10 punti percentuali in più rispetto a noi italiani. Il Paese del Centro America vanta così uno dei tassi di vaccinazione più alti al mondo e tutto con vaccini "autoctoni", messi a punto e prodotti sull'isola. Anzi, i preparati cubani potrebbero aiutare molti Paesi a basso reddito nella prevenzione, poiché più facili da maneggiare e stoccare. In tutti i Paesi occidentali, Italia compresa, sono state lanciate petizioni per l'approvazione di tali vaccini. Eppure questi non sono ancora stati approvati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). La ragione? Gli standard di qualità (occidentali), che la stessa OMS richiede per i siti di produzione, non sarebbero rispettati; standard che, stando alle autorità locali che hanno protestato per la decisione, non sono equi in un paese in via di sviluppo.
L’efficacia
L’isola nel Mar dei Caraibi, che vive da più di 60 anni un embargo economico da parte degli Stati Uniti, già nelle prime fasi della pandemia aveva deciso di attivarsi in prima linea nella produzione di un preparato vaccinale atto a prevenire l’infezione, consapevole dell’importanza di poter essere indipendente dall’estero in questa lotta contro il virus. Strategia che ha poi dato i suoi frutti: all’inizio di novembre dell’anno scorso, infatti, come racconta un editoriale di Nature [2], veniva pubblicato in preprint un report [3] del Finlay Institute of Vaccines di Havana, istituzione leader nella produzione indipendente di vaccini, firmato dallo stesso direttore generale Vicente Vérez Bencomo. I risultati erano, e sono, promettenti: Soberana [4] – così il nome del vaccino, che in spagnolo significa “sovrano” – risultava avere un’efficacia di oltre il 70% [2]. Soberana è un vaccino coniugato, ovvero utilizza un virus inattivato che viene legato a una proteina per una più alta efficacia. Nella fattispecie, la versione più avanzata del prodotto, Soberana 02 lega chimicamente una porzione della proteina spike a un frammento innocuo della tossina tetanica. Se inoculato in combinazione con un vaccino correlato (Soberana PLUS, non coniugato e privo della tossina tetanica) l’efficacia è risultata superiore al 90% nella protezione contro l’infezione sintomatica dalla variante Delta [2], un tasso comparabile quindi con quello dei vaccini a mRna (Pfizer-BioNTech e Moderna).
Cuba: una lunga storia di evidenze
Soberana non è nemmeno il primo della lista dei successi cubani in tema vaccini anti COVID-19: un altro vaccino che sta contribuendo al successo vaccinale nell'isola si chiama Abdala, viene somministrato in tre dosi, ed è un vaccino ricombinante, che sfrutta cioè la stessa tecnologia del forse più noto vaccino contro l’epatite B (o di Novavax, per rimanere in tema COVID-19). Questi vaccini funzionano poiché contengono frammenti purificati dell’agente patogeno da cui ci si vuole proteggere. Nel caso di Abdala, si tratta di frammenti della proteina spike che non vengono prelevati direttamente dal virus, ma coltivati invece in cellule di un lievito (Pichia pastoris) progettate a tale scopo [5]. Già questa estate [6], il Finlay Institute riferiva che tre dosi di Abdala dessero una protezione di oltre il 92% in uno studio di fase 3 condotto su più di 48 mila partecipanti – ma i risultati non sono ancora stati pubblicati in una rivista peer-reviewed. Ciò non ha comunque impedito all’agenzia regolatoria cubana di approvare i vaccini e avviare l’esportazione; a oggi, fuori da Cuba, Abdala e Soberana sono disponibili in uso emergenziale in Iran, Nicaragua, Venezuela, Vietnam, San Vincenzo e Grenadine e Messico.
Pro e contro
Soberana e Abdala hanno alcuni vantaggi peculiari [2] rispetto ad altri tipi di vaccino, tra cui quello di non dover essere mantenuti a temperature estremamente basse (come Pfizer-BioNTech o Moderna), ed essere così più facili da consegnare in aree remote. Diversamente da quelli ad adenovirus (AstraZeneca e Johnson & Johnson), inoltre, avrebbero meno effetti collaterali legati a problemi di coagulazione o infiammazione. Però, come in tutto, esiste il rovescio della medaglia, e anche i vaccini cubani hanno i loro contro [2], primo tra tutti il fatto che, dovendo utilizzare cellule per la loro sintesi, il tempo per la produzione si dilata; in seconda analisi, sembrerebbero essere meno efficaci in chi in passato ha ricevuto vaccini con la stessa tecnologia (un esempio tra tutti, i vaccini contro il meningococco). Per averne certezza, però, dovremo aspettare studi epidemiologici su più larga scala.
C’è da aggiungere che, visto l’isolamento politico di cui soffre Cuba, anche la sperimentazione in sé ha richiesto più tempo. Recentemente, l’Istituto Finlay ha dichiarato che presenterà tutti i dati e i documenti necessari per l’approvazione all’Organizzazione mondiale della sanità entro aprile [7]. Ma gli epidemiologi cubani, riporta Reuters [8], hanno intanto protestato duramente contro l’OMS, rea secondo loro di aver richiesto standard industriali “da primo mondo”, irraggiungibili per un Paese a basso reddito come Cuba. Di contro, la Banca Centroamericana per l'Integrazione Economica qualche settimana fa ha dichiarato che presterà a Cuba 46,7 milioni di euro, che serviranno da una parte per aiutare il programma di vaccinazione, dall'altra per contribuire al raggiungimento degli standard richiesti per gli impianti di produzione. I costi della modernizzazione industriale potrebbero lievitare anche per via dell'embargo statunitense che obbligano lo stato caraibico a rifornirsi in Europa e in Asia.
L’opinione dell’esperto
Le pressioni e le petizioni per l'approvazione in Europa di questi vaccini si basa sull'apprezzamento dello sforzo e delle comptenze dell'industria biotech cubana, una delle poche al mondo di proprietà interamente statale e dalla ricerca di un prodotto a basso costo che possa servire a colmare il gap vaccinale tra Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo, un gap che risulta ormai difficilmente colmabile con i vaccini a mRNA. Ma la simpatia per l'impresa e l'ingegno cubano non bastano.
“Spesso chi non è addetto ai lavori immagina che il processo di approvazione di un farmaco o di un vaccino sia molto diverso da come è davvero. In questo processo, la valutazione dell'efficacia clinica è solo il primo passo, cui ne seguono moltissimi altri, tutti essenziali. Occorre valutare la capacità produttiva di chi chiede l'approvazione di un nuovo prodotto, e l'impegno effettivo a produrre e distribuire quantitativi adeguati in tempi adeguati, rispettando standard qualitativi elevati e costanti nel tempo, e assicurando un'attenta sorveglianza post-marketing”, ha detto a Univadis Medscape Antonio Addis, farmacologo del Dipartimento di epidemiologia della Regione Lazio e membro della commissione tecnico-scientifica dell'Agenzia del farmaco (AIFA). “Questo presuppone un notevole impegno da parte di chi presenta il dossier per l'approvazione, perché quando le agenzie regolatorie valutano un farmaco o un vaccino devono anche assicurarsi che la produzione risponda adeguatamente alle esigenze. In occasione dell'approvazione dei vaccini in uso in Europa” - continua Addis - “una delle discussioni con le aziende è stata la definizione della curva di produzione per assicurare di arrivare a soddisfare la domanda, e anche molto dopo l'approvazione ci sono tante questioni da affrontare e risolvere con chi produce ciascun vaccino”.
In sostanza, la parte scientifica è solo l'inizio della strada da percorrere per un vaccino di successo, strada che richiede anche investimenti che sembrano escludere a priori i "battitori liberi".
“Soberana, come Sputnik, come il vaccino indiano e altri di cui si parla meno, sono per molti versi promettenti, e tutti i vaccini che sembrano funzionare meriterebbero di essere valutati. In linea di principio le istituzioni internazionali potrebbero favorire la collaborazione tra chi ha un nuovo prodotto e chi ha la capacità produttiva, come è stato fatto in passato per esempio per i farmaci generici, ma si tratta di soluzioni non semplici, che spesso sollevano anche questioni di geopolitica” chiosa Addis.
Mentre aspettiamo di capire quale impatto avrà omicron a livello globale, è innegabile che gli ultimi anni, più che mai, hanno dimostrato che finché non ci sarà un accesso equo su scala mondiale ai vaccini, la pandemia continuerà, e così anche il rischio che sorgano nuove varianti. Potrebbero i vaccini cubani essere d'aiuto per arginare il problema? Stando alle stime dello stesso Vérez Bencomo, l’Istituto Finlay sarebbe in grado di produrre 10 milioni di dosi di Soberana al mese; secondo alcuni [5] [7] è possibile quindi che in futuro essi saranno i protagonisti della scena anti-COVID-19 in Sud America, Asia e Africa, dove la copertura vaccinale è ancora particolarmente bassa, e dove le condizioni economiche rendono quanto mai appetibili tali risorse.
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