Si dice in Villa - Meningite fulminante: una tragedia evitabile o una fatalità?
- Roberta Villa
- Uniflash
Come molti altri, sono rimasta turbata anch’io dalle dichiarazioni del ministro dell’interno Matteo Piantedosi sulla presunta responsabilità dei genitori che hanno imbarcato i figli nella pericolosa traversata del Mediterraneo conclusasi tragicamente sulle coste della Calabria. Ma - non sembri azzardato il paragone - mi lasciano sempre altrettanto interdette le dichiarazioni di chi commenta la morte di una persona per una malattia infettiva sottolineando che la vaccinazione l’avrebbe salvata. In entrambi i casi, trovo inaccettabile l’assoluta mancanza di empatia verso famiglie devastate dal dolore, a cui si aggiunge un carico di senso di colpa di cui davvero in certi momenti non si sente il bisogno. Forse l’intenzione di chi giudica è di evitare il ripetersi di queste tragedie, ma la scienza della comunicazione insegna che ben difficilmente approcci di questo tipo “servono da lezione”. E se poi anche fosse, credo che l’umana pietà per chi vive la perdita di un figlio dovrebbe essere messa davanti a ogni cosa.
Mentre ragionavo di tutto questo, i miei timori che qualcuno avrebbe sfruttato la morte per meningite fulminante di un ragazzo veneto di 17 anni per promuovere le vaccinazioni sono stati puntualmente confermati. A gravare le spalle di due genitori che in pochi giorni si sono visti portare via un ragazzo fino ad allora perfettamente sano, sportivo, pieno di vita, sono le dichiarazioni di Matteo Bassetti, secondo cui il vaccino avrebbe potuto evitare la forma letale di meningite da meningococco di gruppo B che lo ha ucciso in poche ore.
Non so se l’infettivologo genovese abbia informazioni più dettagliate di quelle fornite dalla stampa sullo stato vaccinale del giovane, ma, al di là di quella che io ritengo mancanza di sensibilità per la famiglia, siamo certi che il ragazzo, se vaccinato, sarebbe stato al sicuro dalla meningite? E, soprattutto, che i genitori possano essere ritenuti responsabili per non averlo protetto?
Non c’è dubbio che la vaccinazione riduca il rischio di un’evenienza rara, ma devastante. Tuttavia non è corretto passare il messaggio che questa protezione sia totale. Come dice con la solita trasparenza anglosassone il sito dei CDC statunitensi, senza il paternalismo che ammorba la comunicazione della salute nel nostro paese, questi vaccini funzionano bene, “ma non possono prevenire tutti i casi”.
Nessun vaccino ha un’efficacia del 100%, e questi, in particolare, tendono a perderla nel tempo. Se la protezione conferita dal vaccino tetravalente contro i meningococchi ACWY135 tende a calare dopo circa 5 anni – per cui è fortemente raccomandato, anche per chi l’ha ricevuto da bambino, un richiamo in adolescenza –, la durata dell’efficacia del vaccino contro la meningite B sembra ancora più labile, tanto che potrebbe ridursi – sempre secondo i CDC - dopo solo due anni o tre. Gli stessi CDC, che, come in Italia, raccomandano il vaccino contro i meningococchi ACWY135 a tutti gli adolescenti, lasciano alle famiglie la scelta per quanto riguarda la somministrazione di quello contro la meningite da meningococco di gruppo B. Le prove di sicurezza ed efficacia non sono ancora incontrovertibili, i costi elevati, i casi, seppure gravi, davvero pochi.
Lo stesso approccio si ritrova nel precedente come nel nuovo calendario vaccinale italiano allegato al Piano nazionale di prevenzione vaccinale 2023-2025, che prevede questo vaccino (4CMenB, Bexsero, GSK) solo per i bambini nel primo anno di vita. “Per la vaccinazione contro il meningococco B, vista la sua recente introduzione, la priorità è rappresentata in questo momento dal suo utilizzo nella prima infanzia, età in cui è massimo l’impatto della malattia” dice il sito dell’Istituto superiore di sanità.
L’ultimo rapporto, pubblicato poche settimane fa, sulla “ Sorveglianza nazionale delle malattie batteriche invasive. Dati 2019-2021” conferma infatti che nel triennio considerato la fascia di età più colpita è stata quella sotto l’anno di età. Il documento riporta tutti i casi segnalati di malattia batterica invasiva, includendo quindi nel conto, oltre alle meningiti, anche sepsi e manifestazioni più rare da Neisseria meningitidis. Su tutta la popolazione, indipendentemente dall’età, dal sierotipo di meningococco e dalle manifestazioni della malattia invasiva (meningite, polmonite o sepsi) sono stati segnalati nel 2019 circa tre casi per milione di abitanti, circa la metà della media europea, scesi a 1 nel 2020 e a 0,4, pari a 26 casi in tutto, nel 2021.
I dati del triennio mostrano l’importante calo di incidenza verificatosi negli anni in cui le misure restrittive dovute a Covid-19 hanno ridotto i contatti, ma in cui probabilmente, a causa del sovraccarico dei servizi, è calato anche il tasso di segnalazione. Volendosi quindi attenere al 2019, anno precedente alla pandemia, nella fascia di età 15-24 a cui apparteneva Tommaso, il ragazzo di Bassano del Grappa, si sono verificati 34 casi di malattia meningococcica in tutta Italia, di cui solo circa la metà provocati da meningococco di gruppo B. Con una letalità inferiore al 9% (contro il 15% circa del sierogruppo C), si può dire che i decessi nei giovani sono veramente casi eccezionali nel nostro Paese. Occorre comunque tenere conto della sofferenza e della frequente invalidità successiva in caso di guarigione. Si stima infatti che fino al 60% dei pazienti guariti porta con sé almeno una sequela dell’infezione, che nel 6-7% dei casi sono amputazioni, molto più spesso cicatrici e altre lesioni cutanee, deficit neurologici, tra cui sordità, e disturbi psicologici o psichiatrici.
Anche di questo hanno tenuto conto le società scientifiche e associazioni mediche italiane che hanno redatto il cosiddetto “ Calendario vaccinale per la vita”, secondo cui anche questa vaccinazione dovrebbe essere raccomandata e fornita gratuitamente durante l’adolescenza, cosa che attualmente fanno solo alcune Regioni. Il vaccino ricombinante MenB-FHbp (Trumenba, di Pfizer), approvato da AIFA nel 2017 dai 10 anni in su, avrebbe infatti, secondo uno studio italiano, un rapporto costo-beneficio che ne suggerirebbe la raccomandazione a livello nazionale anche in adolescenza, dove, dai dati sopra riportati, potrebbe comunque evitare forse solo una dozzina di casi, o poco più, sempre che si riesca a vaccinare una larga fascia della popolazione.
Per questo, i pareri a tale proposito sono quindi ancora, a mio parere legittimamente, discordanti. I bisogni di salute in questo Paese sono moltissimi e in crescita, anche per i giovani. La coperta è corta, medici e infermieri sono pochi e sottopagati, la salute mentale richiede particolare attenzione, farmaci sempre più costosi sono introdotti sul mercato per la cura di molte malattie, per cui è bene soppesare bene in che direzione orientare i nuovi investimenti, per ottimizzarne i risultati.
Naturalmente, i genitori sono liberi di pagare per vaccinare ciascuno dei loro figli anche contro questa, per fortuna rarissima, eventualità, ma davvero non si possono accusare quelli del ragazzo veneto per non aver avuto questa precauzione in più. A Tommaso, così si chiamava, il vaccino contro la meningite B non è stato certamente offerto nel primo anno di vita, dal momento che è stato introdotto in Italia nel 2014, quando lui aveva già circa 8 anni. Ripeto, non so se sia stato vaccinato in seguito contro questa rara eventualità, né lo voglio sapere. Ma insinuare ai genitori il dubbio che sia morto per loro inadempienza non mi sembra altro che una crudeltà gratuita. E non credo proprio che servirà a convincerne altri.
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