Si dice in Villa - La paura è cattiva consigliera
- Roberta Villa
- Uniflash
La nostra capacità di preoccuparci ha un limite. L’attenzione che riusciamo dedicare ai possibili pericoli che minacciano la nostra salute e quella dei nostri cari non è sconfinata. Ancora più ristretto è il numero di azioni concrete che possiamo far diventare abitudini: ci siamo adattati alla distanza interpersonale, alle mascherine, al ripetuto lavaggio delle mani. Abbiamo avuto paura di un virus sconosciuto, abbiamo accettato misure di sanità pubbliche mai viste prima, ci siamo sottoposti alla vaccinazione con prodotti innovativi, e adesso che anche l’Organizzazione mondiale della sanità, oltre che la maggior parte dei Governi, ha dichiarato finita l’emergenza, di Covid-19 non vogliamo più preoccuparci.
Per più di tre anni la pandemia ci ha chiesto di riversare su Covid-19 tutte le nostre risorse, anche emotive. Come se non bastasse, al virus sconosciuto si è sommata l’invasione russa dell’Ucraina, con il continuo riferimento a possibili incidenti, o addirittura attacchi nucleari. Le straordinarie performance di ChatGPT cominciano a mostrarci che la rivoluzione annunciata dall’intelligenza artificiale generativa potrebbe accelerare la disinformazione e costare posti di lavoro. E sullo sfondo resta l’ombra della crisi climatica, che c’era prima del 2020 e continuerà a farci sempre più paura, con l’intensificarsi di fenomeni estremi che non ci fanno più sentire al sicuro nemmeno nella ricca pianura padana, vulnerabili come i popoli periodicamente travolti dai monsoni.
Circondati da ogni parte da diverse sirene di allarme, possiamo tapparci le orecchie e ignorarli tutti, oppure provare a stabilire delle priorità, cercando di capire che cosa si possa fare per ridurre il nostro rischio personale, familiare e collettivo.
Le nuove sottovarianti e ricombinanti di SARS-CoV-2
Partiamo da quello che ormai è il pericolo che ci sembra di conoscere meglio: Covid-19. Il direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità, nel dichiarare chiusa l’emergenza di sanità pubblica di interesse internazionale, lo ha detto chiaramente: si chiude una fase, non la pandemia. Convivere con Covid-19 non significa ignorarlo, ma cercare di fare il possibile per impedirgli di fare troppi danni. Nel 2022, quando ormai gran parte della popolazione era vaccinata e non si sono più registrati i fenomeni di sovraccarico dei sistemi sanitari dovuti alle grandi ondate degli anni precedenti, Covid-19 in Europa ha provocato ancora quasi 470.000 vittime. Dal 3 al 20% delle persone guarite sviluppa sintomi di long Covid, che contribuiscono all’assenteismo dai posti di lavoro. L’infezione da SARS-CoV-2, anche se “mild” si associa a un significativo aumento del rischio di malattie cardiovascolari, diabete, e malattie neurodegenerative.
Nella situazione attuale, quindi, non dovremmo pensare alla prospettiva di un’ondata come quella che ci ha travolto nel 2020, né le nuove varianti (o meglio, ricombinanti), derivate dallo scambio di materiale genetico tra diversi virus omicron, per quanto contagiosissime, hanno finora mai manifestato un’aggressività comparabile a quella di delta, che travolse l’Europa nel 2021. La loro estrema capacità di diffondersi dovrebbe piuttosto spingerci a esigere dai Governi un approccio che, superata l’emergenza, preveda cambiamenti strutturali, necessari per sempre: impianti di ventilazione efficaci nei luoghi pubblici; monitoraggio della circolazione del virus e sequenziamento delle nuove varianti; finanziamenti alla ricerca per ottenere nuovi vaccini aggiornati contro le nuove ricombinanti, che possibilmente riescano a rallentare anche la diffusione del virus, oltre che proteggere dalla malattia grave.
Non dimentichiamo l’aviaria
Intanto non possiamo ignorare che l’influenza aviaria H5N1, da vent’anni considerata la candidata in pole position per scatenare una pandemia ben peggiore di quella da coronavirus, continua ad avvicinarsi a noi.
Pochi giorni fa, in Brasile, il più grande esportatore di polli al mondo, è stata dichiarata per sei mesi un’emergenza sanitaria veterinaria per il riscontro di casi di influenza aviaria H5N1 negli uccelli selvatici.
Dopo l’epidemia tra i visoni in un allevamento spagnolo, che ha dimostrato la capacità del virus di trasmettersi tra mammiferi, una ricerca in preprint, non ancora sottoposta a peer review, suggerisce che lo stesso possa accadere tra i furetti, considerati il modello animale che meglio rappresenta il comportamento dell’influenza negli esseri umani.
Circa un mese fa il virus è stato isolato per la prima volta in Italia in un mammifero – la volpe rossa - , in due diversi esemplari localizzati in due diverse aree del Veneto.
Anche in questo caso, la paura serve a poco. Per il momento, tutti i casi segnalati negli esseri umani sembrano aver contratto il virus da animali infetti, per cui il rischio che il virus si diffonda tra le persone è considerato basso. Ciò non toglie che occorra prudenza. Le carni avicole acquistate dal macellaio o al supermercato sono sicure, perché sottoposte a molti controlli, ma se si trovano resti di uccelli o polli morti, in campagna o in un pollaio a cielo aperto, è bene non avvicinarsi – né far avvicinare i propri cani – ma segnalare immediatamente il caso alla ASL. E tenere alta la guardia, che non significa immaginare scenari catastrofici.
La crisi climatica fa male alla salute
Ma la minaccia più grave alla salute nostra e dei nostri figli con ogni probabilità oggi non viene da un virus, ma dal clima.
Gli sconvolgimenti che da noi cominciano solo a farsi intravedere non porteranno solo fenomeni estremi di siccità e alluvioni. L’impatto di questi eventi sull’agricoltura potrà ostacolare per qualcuno l’accesso a una sana alimentazione, dati i possibili rincari di frutta e verdura; il rialzo medio delle temperature potrà facilitare la diffusione di insetti come zanzare che in genere vivono in aree tropicali, diffondendo in Europa malattie infettive da noi poco note; le ondate di freddo e di calore provocheranno di per sé un significativo numero di vittime.
Sono solo alcune delle conseguenze già in atto, ma che è prevedibile peggioreranno nei prossimi anni. Anche in questo caso, prospettare gli scenari distopici che pure sono possibili, rischia di provocare reazioni paradosse di evitamento e negazione. Come si possa conciliare la necessità di evitare questo effetto con l’urgenza della situazione e la necessità di intervenire in maniera drastica non è ancora chiaro. Le dimostrazioni dei giovani vengono etichettate come vandaliche, i discorsi degli scienziati considerati poco efficaci. Ma occorre trovare senza indugi il modo di aumentare la consapevolezza delle persone al più presto, senza ricorrere alla paura. Solo così anche i Governi sapranno che certe scelte sono ormai improcrastinabili, e non necessariamente devono essere impopolari.
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