Si dice in Villa - La depenalizzazione della colpa medica è un piccolo passo per migliorare la sanità

  • Roberta Villa
  • Uniflash
L'accesso ai contenuti di questo sito è riservato agli operatori del settore sanitario italiano L'accesso ai contenuti di questo sito è riservato agli operatori del settore sanitario italiano

La situazione della sanità italiana è in tale difficoltà che nessun singolo provvedimento, tanto più se a costo zero, può pensare di riportarla in quattro e quattr’otto a un livello di sostenibilità ed efficienza. Nemmeno la dichiarazione del ministro Orazio Schillaci secondo cui si intende depenalizzare la colpa medica sarà quindi un colpo di bacchetta magica, ma c’è da sperare che possa produrre in maniera indiretta più effetti positivi di quelli auspicati con altri provvedimenti recenti.

Non basterà infatti l’aumento dei posti disponibili nelle facoltà di medicina, con il nuovo test TOLC MED inaugurato proprio in questi giorni, a rimediare alla grave e ingravescente carenza di professionisti nel sistema. Ci vorranno molti anni prima che l’aumento delle matricole di oggi arrivi a rimpolpare le file dei medici, e tutti sappiamo che l’imbuto formativo non è all’ingresso, ma a valle dell’esame di laurea. Eppure nemmeno il meritevole tentativo degli ultimi due Governi di mitigare questa situazione aumentando il numero delle borse assegnate alle scuole di specializzazione ha dato buoni frutti. Anche così le scuole di specialità meno appetibili, come Medicina d’urgenza e Anestesia e rianimazione, non hanno riempito tutti i posti disponibili. I neolaureati non vogliono immolarsi intraprendendo una strada che offrirà pochi o nessuno sbocco nel privato, non prevede attività ambulatoriale, impone di affrontare turni e orari incompatibili con la vita familiare, a volte mette perfino a rischio la vita, data la sempre più frequente violenza dei pazienti e dei loro familiari. 

In questo contesto la proposta del ministro potrebbe essere più utile delle piccole gratifiche economiche di recente concesse a chi lavora in pronto soccorso. Lasciare che solo i comportamenti riconducibili a dolo possano essere perseguiti per via penale alleggerirebbe infatti il peso delle polizze assicurative che erodono gli stipendi. Potrebbe ridurre il ricorso alla medicina difensiva, con esami o interventi di dubbia utilità effettuali solo per poter dire di aver fatto “tutto il possibile” e sottrarsi alla possibile accusa di omissione. Tagliando questa fetta di prestazioni, che si stima rappresenti il 10% della spesa sanitaria in Italia, oltre a ottenere un risparmio di risorse utilizzabili in altri settori, si potrebbero alleggerire le liste di attesa, offrendo in tempi più brevi ai pazienti che ne hanno davvero bisogno gli accertamenti o le prestazioni che servono, riducendo il loro risentimento. I medici potrebbero lavorare più serenamente in scienza e coscienza, senza timore di doversi trovare in tribunale, da dove uscirebbero nel 97% dei casi con un’assoluzione che tuttavia non basta a compensare l’angoscia, i costi legali, i danni reputazionali legati a ogni causa. 

Certo, restano le cause civili, che è giusto garantiscano ai pazienti o alle loro famiglie l’eventuale risarcimento per le conseguenze di un errore compiuto per imprudenza, imperizia o negligenza. Sarebbe bene che dei costi legali, in questo caso, si facciano totalmente carico le strutture, riconoscendo così anche la loro parte di responsabilità, nel non aver favorito la formazione continua dei propri dipendenti, il supporto di un lavoro di équipe, turni umani e una qualità del lavoro sostenibile: tutti fattori che permettono di migliorare la qualità dell’assistenza e tutelano i pazienti più di una condanna a posteriori al medico che ha sbagliato, dopo anni di confronto nelle aule di un tribunale.