Si dice in Villa - Impariamo dall’industria a comunicare la salute, un’attività che non è gratuita
- Roberta Villa
- Uniflash
Uno degli spot con cui GSK sta preparando il terreno all’arrivo del nuovo vaccino contro il virus respiratorio sinciziale negli Stati Uniti è di quelli che fanno decisamente appello alla paura. Lo fa in maniera sottile ed elegante, ma inequivocabile, con lo slogan “Cut short by RSV” (“Interrotto da RSV”) su sfondo nero, sopra una linea gialla che a un certo punto finisce, quasi a suggerire quella di un ecg appiattita su un monitor. Un’inquietante associazione di idee amplificata dal leggero ronzio che accompagna la scritta, con le informazioni base che spiegano al pubblico che cos’è il virus e quale carico produce sulla salute delle persone più avanti negli anni.
Questo cupo finale coglie di sorpresa lo spettatore, troncando bruscamente le parole di un allegro e panciuto giocatore di tennis dai capelli bianchi, dopo che un signore brizzolato appassionato di arte e poi una coetanea dedita al volontariato hanno portato la loro testimonianza di come anche dopo i 65 anni la vita può essere attiva, piena di interessi e stimoli, e di come tutto questo può essere rapidamente spazzato via dall’infezione. L’obiettivo di aumentare la consapevolezza sull’importanza di un virus sconosciuto al grande pubblico fino a pochi mesi fa mi sembra pienamente raggiunto. I suoi effetti sull’adesione delle persone alla vaccinazione, invece, a pochi giorni dal lancio, sono ancora impossibili da stabilire, e con il taglio dato a questa comunicazione non sarebbero probabilmente uguali in tutti i Paesi del mondo.
La professionilità della comunicazione
D’altra parte, le grandi agenzie pubblicitarie che lavorano per l’industria farmaceutica come per le auto di lusso in genere sanno quello che fanno, e per questo sono retribuite in maniera adeguata. Difficilmente incorrono negli errori che talvolta abbiamo visto quando le nostre istituzioni hanno provato a lanciare campagne per la promozione della salute ottenute per lo più a basso costo, se non richieste gratuitamente. Memorabile quella del Fertility day voluta dalla ministra Beatrice Lorenzin, divenuta ormai un caso studio di quel che non si dovrebbe mai fare nella comunicazione istituzionale. Oppure, andando indietro negli anni, come quella, sempre del Ministero della salute, che nel 2009 utilizzò la puerile voce di Topo Gigio per rassicurare gli italiani nei confronti della pandemia cosiddetta “suina” da influenza A(H1N1), quando questi già la stavano prendendo sotto gamba. “L’influenza A è una normale influenza” era il claim della campagna, che ottenne il duplice risultato di disincentivare gli italiani a ricevere i vaccini acquistati dallo stesso ministero e confermarli nella convinzione che anche l’influenza stagionale sia qualcosa di “normale”, che non occorre cercare di evitare con la vaccinazione. Molti esperti ritengono che il crollo delle coperture della stagione successiva, quando il virus H1N1 tornò a colpire ancora più forte, ne fu, almeno in parte, la conseguenza.
La percezione del rischio
Comunicare i vaccini non è facile: da un lato occorre aumentare la conoscenza e la percezione del rischio di malattie a volte poco note o sottovalutate, dall’altro bisogna dosare con attenzione il ricorso alla paura per non incorrere in reazioni paradosse di evitamento e negazione. Ci vuole misura, ma la misura non è la stessa ovunque, e i pubblicitari, se sono bravi, conoscono bene il pubblico a cui rivolgersi, e sanno come pesarla in relazione a pubblici diversi. In vista del lancio del nuovo vaccino, quindi, accanto allo spot descritto sopra, la stessa GSK negli Stati Uniti ha impostato una diversa campagna di sensibilizzazione chiamata Sideline, che ricorre al volto di un testimonial molto noto, l’ex cestista Magic Johnson, uno dei più grandi atleti di tutti i tempi, che negli anni si è fatto portavoce di diverse iniziative di promozione della salute. Utilizzando la sua immagine positiva non si preme come nell’altro caso sul tasto della paura, ma su quello della fiducia, con il protagonista dalla forte corporatura e con il viso aperto, che parla dei rischi di RSV in un’atmosfera buia, ma non angosciosa, e aperta alla luce di un vaccino che negli spot non è ancora citato, ma si presuppone arrivi presto.
Dopo l’Agenzia europea per i medicinali (EMA), anche la Food and Drug Administration statunitense ha infatti dato il via libera al primo vaccino contro l’infezione da virus respiratorio sinciziale (RSV) rivolto agli ultrasessantenni. Il prodotto, sviluppato proprio da GSK, non sarà comunque disponibile fino a quando la Commissione europea da un lato dell’Atlantico e i CDC con il Prevention’s Advisory Committee on Immunization Practices statunitense dall’altro non confermeranno l’autorizzazione all’immissione in commercio. L’azienda ha annunciato di avere già pronte in magazzino almeno un milione di dosi, per cui è molto probabile che dalla fine dell’estate potranno cominciare le campagne di vaccinazione.
Ogni anno il virus, pericoloso anche nella prima infanzia, solo tra gli over 65 provoca 250.000 ricoveri e 17.000 decessi in Europa e rispettivamente 159.000 e almeno 10.000 negli Stati Uniti. Sono dati che si avvicinano a quelli delle stagioni influenzali più lievi, ma la vaccinazione anti RSV promette di avere sull’infezione un impatto più forte di quanto non riescano a fare i vaccini antinfluenzali, con un’efficacia nei confronti dei ricoveri che potrebbe essere di più del doppio: nello studio di fase 3 pubblicato sul New England Journal of Medicine, la protezione contro le forme gravi di infezione delle basse vie respiratorie associata a RSV è stata infatti del 94%. Un prodotto atteso da tempo, quindi, che sembra essere molto efficace e risponde a un reale bisogno di salute.
Il ritorno delle nuove tecnologie
Il vaccino GSK comunque non sarà solo a monopolizzare il mercato, ma è destinato a fare da apripista ad altri concorrenti già pronti nelle pipeline. Due partono dall’esperienza sviluppata durante la pandemia: Jannsen ha infatti in sperimentazione un vaccino ad adenovirus e Moderna uno a RNA messaggero, che ha già passato con ottimi risultati la fase 3. Il primo ad arrivare alle spalle di GSK dovrebbe però essere quello di Pfizer, per cui si attende l’approvazione a breve. A questo dovrebbe seguire, da parte della stessa azienda, un prodotto diretto alle donne in gravidanza, per proteggere il neonato in alternativa agli anticorpi monoclonali di Sanofi (nirsevimab) usati attualmente nei casi a rischio.
In Italia la scelta comunicativa delle grandi aziende sembra diversa. Pfizer, qualche mese fa, ha lanciato in Italia una campagna contro la polmonite pneumococcica, che in ambiente rasserenante e tranquillo, senza cedimenti alla paura della malattia, promuove il suo prodotto strappando un sorriso. Distesa anche l’atmosfera della campagna “Che ci azzecca” contro l’encefalite da zecca, basata su un gioco di parole e immagini solari e colorate. Le stesse caratteristiche ha la campagna “ VACCInalo presto!” di MSD per la vaccinazione contro il rotavirus dei neonati, dove l’invito a non rimandare l’appuntamento non è spinto da un senso di urgenza ansiogena, ma solo dal benessere dello splendido bambino che fa da testimonial.
La qualità si paga
Parte essenziale della comunicazione oggi deve poi essere l’engagement. Sanofi risponde a questa esigenza con l’iniziativa #PerchéSì, che proprio l’anno scorso ha dedicato alla comunicazione sull’RSV il concorso rivolto a team multidisciplinari composti da specializzandi delle Scuole di Pediatria e di Igiene e Sanità Pubblica, esperti di comunicazione, anche social, e neo genitori.
Tutti messaggi positivi, quindi, quelli scelti dalle aziende per il pubblico italiano, su cui forse il richiamo all’ecg che si zittisce non sortirebbe l’effetto desiderato. Lo abbiamo visto anche per il vaccino contro herpes zoster, presentato sui media italiani con una pubblicità martellante, ma che chiama la malattia con il suo nome più comune (“fuoco di sant’Antonio”) e scherza sull’immagine di un estintore, con un humor che forse ai più giovani può apparire un po’ cringe, ma raggiunge il target a cui si rivolge. Tutt’altro approccio rispetto al terrificante spot distribuito l’estate scorsa negli Stati Uniti, che paragona questa stessa condizione agli shock elettrici di una tortura. Immagini che avrebbero fatto subito cambiare canale ai nostri anziani, un po’ come capitava con “ La stanza degli abbracci”, lo spot ideato e realizzato - sottolineo, come fu sottolineato allora, come fatto positivo, pro bono - da Giuseppe Tornatore all’inizio della grande campagna di vaccinazione contro la pandemia da Covid-19. Nonna e nipote che si possono abbracciare solo col tramite di un telo di plastica, in un ambiente tetro, con una musica angosciante, e le parole dell’anziana che, invece di incoraggiare la ragazza, sembrano elogiare i suoi dubbi riguardo alla vaccinazione, non incoraggiarla.
La comunicazione è un'arma potente, ma bisogna saperla usare. Se le istituzioni continueranno a riconoscere questo concetto a parole, ma non saranno disposte a investire per prodotti di qualità, si abbandonerà la promozione della salute ai privati, contando solo sulla loro onestà intellettuale. Una scommessa rischiosa, di cui poi non ci si potrà lamentare.
DICHIARAZIONE DI CONFLITTI DI INTERTESSE: L’autrice ha ricevuto da GSK e Sanofi compensi per lezioni, talk e moderazioni di tavole rotonde sui vaccini.
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