Si dice in Villa - Il senso di responsabilità non è solo nei confronti del lavoro

  • Roberta Villa
  • Uniflash
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Qualche giorno fa il ministro della difesa Guido Crosetto ha twittato queste parole: “Secondo giorno di influenza con febbre alta. Normalmente i miei malanni stagionali scelgono i week end, i ponti, le feste comandate o le vacanze. Questa volta ha sbagliato i conti…”. Poi si sarà preso un paracetamolo o qualche altro farmaco per controllare i sintomi e si è presentato in Parlamento a discutere, senza nemmeno una mascherina, di un importante decreto.

Qualcuno ha plaudito allo spirito di sacrificio, un po’ stakanovista, dell’uomo forte che non si arrende davanti ai virus e mette il senso del dovere davanti a tutto, perfino alla propria salute. Qualcuno si è invece preoccupato e ha ritenuto, come la sottoscritta, che la scelta di Crosetto sia piuttosto da bollare come irresponsabile.

Certo, l’esponente del governo non è il primo ad andare in fabbrica, in ufficio, in negozio o nei campi con la febbre. Non sono mai stata dipendente in una grande né piccola azienda, ma mi dicono che, almeno in Italia, questo comportamento è molto apprezzato come segno di attaccamento al lavoro. Presentarsi nonostante il malessere significa infatti mostrare senso del dovere, evitare di scombussolare l’agenda di chi lavora con noi, non costringere i colleghi a sostituirti, non far mancare la firma a un documento o il via libera a un progetto. Per chi è libero professionista o ha un’attività in proprio, ogni giorno perso significa un mancato introito difficile da recuperare. La pressione di debiti e bollette non manca, soprattutto di questi tempi.

Se poi è vero che, nel medio o lungo termine, nessuno è insostituibile, in una realtà piccola, e nell’immediato, sono molte le funzioni che non possono essere rimpiazzate in poche ore. Per non parlare dei medici e degli operatori sanitari, che di questi tempi subiscono da un lato il sovraccarico legato alla stagione in corso, e dall’altro sono più esposti di tutti gli altri alle infezioni respiratorie che stanno mettendo a letto mezza Italia. Molti non trovano un sostituto nemmeno cercandolo mesi prima, per prendersi qualche giorno di vacanza. Figuriamoci per il giorno dopo, quando alla sera sale il febbrone. Ma se il medico si mette in malattia sono guai. Per cui spesso apre lo stesso l’ambulatorio, col rischio di peggiorare la situazione di chi si rivolge a lui. Non ha alternative, capisco.

Eppure, resto convinta che ignorare la malattia sia un errore, nei confronti di se stessi, prima di tutto, ma anche nei confronti degli altri. Scrivo a un pubblico di medici, e come medici sapete benissimo che la febbre, oltre che uno strumento di difesa, è anche un segnale di allarme dell’organismo. Non voglio attribuire ai sintomi un finalismo che non possono avere, ma è indubbio che la debolezza, il mal di testa, i dolori ossei e muscolari per i quali è difficile alzarsi dal letto invitano al riposo, e il riposo, in questi casi, è un’importante medicina.

C’è poi il senso di responsabilità nei confronti degli altri, che evidentemente nemmeno la pandemia è riuscita a insegnarci. Una malattia infettiva non può essere solo una questione di salute individuale, ma inevitabilmente riguarda la collettività, perché attraverso i comportamenti di uno può danneggiare l’altro.

La decisione di abolire l’obbligo di tampone negativo per uscire dall’isolamento per covid-19 dopo 5 giorni dall’esordio va in questa stessa direzione. Basta che l’individuo sia asintomatico (o si ritenga tale, perché sottovaluta la stanchezza, il mal di testa, la tosse). Abbiamo visto titoli che definivano “asintomatico” il presidente Sergio Mattarella, nonostante la febbre, solo perché evidentemente non presentava una forma grave di covid-19.

Sarà interessante poi vedere, in questa cultura a mio parere malata del lavoro, quali saranno i sintomi che giustificheranno viceversa la possibilità di rimanere a casa con covid-19 chi, dopo 5 giorni, al contrario non si sente di riprendere. Quali pressioni verranno esercitate su persone non completamente ristabilite, ma di cui c’è bisogno al lavoro. Il danno, credo, sarà individuale, ma, in un momento di altissima circolazione del virus come questo, potrebbe avere anche ripercussioni epidemiologiche più ampie.

Si dice che ormai covid-19 è come un’influenza. A parte che, numeri alla mano, non è vero, per decenni abbiamo condotto campagne sui comportamenti da seguire per evitare di trasmetterla ad altri, raccomandando di non andare a lavorare né mandare a scuola i bambini con la febbre, ritenendo una priorità di sanità pubblica ridurre il carico delle infezioni.

In Parlamento, come negli uffici, in fabbrica o sui mezzi pubblici, ci sono persone fragili e altre, apparentemente sane, ma che potrebbero per varie ragioni essere destinate ad avere una forma grave di covid, o anche solo perdere, a causa di un’influenza, un esame o un colloquio di lavoro da cui dipende il loro futuro. Perché dovremmo considerare “eroica” l’indifferenza verso le necessità altrui?

Tre anni fa, avremmo guardato con curiosità una persona che fosse uscita per strada o entrata in un negozio con una mascherina, a meno che non fosse chiaramente di origine asiatica. Sapevamo infatti che nei paesi scottati da SARS la prevenzione delle malattie respiratorie era più attenta, forse un po’ paranoica. Noi pensavamo di non averne bisogno. Ci sentivamo invulnerabili.

Ora che abbiamo toccato dolorosamente con mano di non esserlo, potremmo trarre solo vantaggio dal mantenere alcune delle innovazioni introdotte con la pandemia. Prima di tutto la mascherina ffp2 nei luoghi chiusi e affollati, ancor di più se siamo raffreddati o abbiamo qualche sintomo. L’igiene delle mani, e sembra sciocco dirlo. Ma anche la digitalizzazione che ha permesso di snellire certe procedure e il lavoro a distanza, quando può preservare la salute, nelle occasioni in cui è possibile. Per tre anni abbiamo fatto online congressi internazionali, si sono riuniti comitati con membri da ogni parte del mondo, perché mai un ministro (ma vale anche per la presidente del consiglio, sul cui malanno dopo la prima della Scala non abbiamo saputo più nulla) non può riferire in parlamento in collegamento streaming?