Si dice in Villa - Il prezzo pagato dai sanitari durante la pandemia
- Roberta Villa
- Uniflash
Tutto il personale socio-sanitario, ma soprattutto gli infermieri, sempre più vicini agli ammalati, sono stati dall’inizio della pandemia la categoria che più spesso ha contratto Covid-19 nello svolgimento della propria attività professionale. Più del 60% delle denunce di infezione come infortunio sul lavoro dall’inizio del 2020 (in totale più di 320.000) riguarda infatti il settore della sanità e assistenza sociale (ospedali, case di cura e di riposo, e così via), mentre solo lo 0,6% viene dal mondo della scuola, protetto probabilmente anche dalla didattica a distanza.
Anche l’evoluzione dei contagi è stata differente nelle varie fasi delle pandemia nei diversi settori: le denunce in sanità e assistenza sociale, dove l’esposizione è stata sempre comunque costante, sono andate di pari passo con l’andamento della circolazione virale nel Paese, con un massimo a novembre e dicembre 2020, a marzo dello stesso anno e a gennaio 2022, mentre i numeri più bassi si sono rilevati nelle estati del 2020 e del 2021.
Lo documenta l’ultimo rapporto periodico nazionale dell’INAIL sulla pandemia. “Ultimo” non come “il più recente”, ma nel senso che dopo questo, relativo al quadrimestre concluso il 30 aprile, non ne sono previsti altri, nonostante il leggero aumento delle denunce (+1,8%) rispetto al quadrimestre concluso a dicembre 2022.
D’altra parte, la differenza rispetto agli anni scorsi è abissale. Complici la campagna vaccinale e la cosiddetta “immunità ibrida”, sono 2.829 i contagi sul lavoro nel primo quadrimestre di quest’anno, in calo dai 1.168 di gennaio ai 366 di aprile. Sempre in questo periodo, le denunce di contagi da Covid-19 sono state in generale solo una ogni 65 infortuni, non paragonabili al 2020 (quando il virus era responsabile di una denuncia su quattro), al 2021 (una su 12) e al 2022 (quando il dilagare di omicron ha fatto risalire l’incidenza a una su sei).
In termini assoluti, il 2022, con quasi 120.000 contagi denunciati, pesa per più di un terzo su tutto il carico da inizio pandemia, secondo solo al 2020 in cui se ne è verificata quasi la metà. Nei primi tre mesi del 2022, travolti da omicron, si erano già superati i casi registrati nell’intero anno 2021. Il mese di gennaio 2022, in particolare, come i medici ben ricordano, si è avvicinato per incidenza, se non per decessi grazie agli alti tassi di vaccinazione, ai numeri di novembre 2020, il peggiore.
Tornando ai casi che hanno riguardato il settore sociosanitario – che comprende anche amministrativi e altre professionalità – gli operatori sociosanitari rappresentano comunque tre quarti dei contagiati. Di questi, il 38% sono tecnici della salute, in larga maggioranza infermieri, seguiti dagli operatori socio-sanitari (OSS) - per lo più donne - con il 16,1%, dai medici con il 9,4% (di cui oltre la metà donne), gli operatori socio-assistenziali (5,3%), il personale non qualificato nei servizi sanitari (4,4%) e gli specialisti nella scienza della vita con lo 0,6%.
Il personale sanitario e socio-assistenziale ha pagato un caro prezzo anche in termine di vite umane, con circa un quarto dei decessi, di cui il 9,0% tecnici della salute, per due terzi infermieri, quasi il doppio dei medici (4,8%, di cui nove su dieci maschi e uno su tre medico di medicina generale o internista).
L'accesso al sito è limitato e riservato ai professionisti del settore sanitario
Hai raggiunto il massimo di visite
Registrati gratuitamente Servizio dedicato ai professionisti della salute