Si dice in Villa - Il colpo della pandemia contro i vaccini dell’infanzia
- Roberta Villa
- Uniflash
L’effetto è paradossale. Sebbene la formidabile impresa di realizzare, produrre e distribuire oltre 13 miliardi di dosi di vaccino contro SARS-CoV-2 abbia salvato più di 20 milioni di vite, la crisi globale provocata da Covid-19 lascia dietro di sé una perdita di fiducia nelle vaccinazioni, anche quelle rivolte contro altre malattie, in particolare quelle dell’infanzia, che salvano ogni anno 4,4 milioni di vite.
Secondo l’ultimo rapporto globale pubblicato in questi giorni da Unicef, infatti, quasi ovunque - tranne che in Cina, India e Messico – durante la pandemia è calata la percezione dell’importanza di vaccinare i bambini. E l’effetto è più forte tra i giovani. Tra i Paesi in cui il fenomeno è più marcato c’è la Corea del Sud, dove il crollo di fiducia è stato di oltre il 40%, portando sotto la metà la quota di cittadini convinti della necessità di questa pratica; l’impatto è stato minimo in Svezia e Vietnam mentre si è fatto sentire in molti paesi africani, in Giappone e nell’Europa dell’est.
Gli Stati Uniti sono a metà classifica, con un calo del 15% circa che li porta ad avere oggi meno dell’80% dei cittadini consapevoli del valore delle vaccinazioni dell’infanzia. Meglio che in Russia, dove, nonostante la propaganda a favore di Sputnik, la percentuale di favorevoli è scesa di oltre il 20% arrivando a una situazione in cui quasi la metà dei cittadini è scettica nei confronti dei prodotti per l’infanzia. In Europa occidentale riduzioni di fiducia della stessa entità si sono avute in Olanda e a Malta, mentre la ripercussione della pandemia sulla predisposizione alle vaccinazioni dell’infanzia ha visto una riduzione dei tassi di fiducia tra il 10 e il 20% in Belgio, Francia, Austria, Grecia e Cipro. In Italia il fenomeno è meno marcato, con un calo del 6,8%, inferiore anche a quel che si è verificato in Danimarca, Spagna e Germania, e pari a quel che si osserva in Portogallo e Irlanda. Svezia e Vietnam, che già possono vantare un alto livello di fiducia nelle vaccinazioni infantili, hanno invece perso con la pandemia solo pochi punti percentuali di adesione.
A che punto è l'Italia
Ma quindi, oggi, a che punto siamo? Nonostante il calo, l’85% degli italiani pensa ancora che sia importante proteggere i più piccoli da polio, difterite, tetano, epatite B, pertosse, parotite, meningiti, polmoniti e malattie esantematiche. In Europa, ci superano solo il Portogallo (92%), i paesi nordici, la Spagna e, di poco, Irlanda e Lussemburgo, mentre facciamo meglio della Germania, dove un cittadino su cinque è scettico. Il problema dell’esitazione vaccinale è molto più grave in Olanda, Belgio, Francia e Austria, dove i dubbi riguardano dal 25 al 30% degli adulti.
Cerchiamo quindi di contrastare la falsa narrazione dell’Italia come centro dell’antiscienza e dell’antivaccinismo. Il rebound dopo la pandemia si poteva sospettare anche alla luce di quel che si era già visto a partire dal 2010, dopo l’influenza A(H1N1) del 2009, la cosiddetta “suina”. Anche allora il rifiuto ricadde sulle vaccinazioni dell’infanzia, come dimostrò in Francia uno studio che mostrò in un solo anno un aumento del 38% la quota di giovani genitori ostili alle vaccinazioni.
Se allora si poteva attribuire il fenomeno alle conseguenze relativamente modeste dell’infezione, al ritardo con cui arrivarono i vaccini rispetto alle necessità di controllare il fenomeno e, soprattutto, alle accuse di scarsa trasparenza e connivenza delle autorità sanitarie con le industrie farmaceutiche, questa volta è innegabile il merito delle vaccinazioni, non solo in termini di vite umane, ma anche di libertà e ripresa economica, dal momento che senza di esse le misure di contenimento del contagio avrebbero dovuto prolungarsi molto di più.
Riprendere il cammino per proteggere il maggior numero possibile di bambini dalle malattie dell’infanzia dovrebbe essere una priorità. La pandemia non ha infatti solo rallentato il cammino verso gli obiettivi di salute globale previsti dalle Nazioni Unite, ma ci ha fatto regredire in maniera preoccupante rispetto ai traguardi già raggiunti, con oltre il 18% di bambini che a livello globale nel 2021 non avevano ricevuto nessun vaccino, pari a 48 milioni di piccoli, risalendo ben oltre il 15% a cui si era arrivati nel 2010 dal 22,3% di inizio millennio. L’Unicef ha poi stimato che, se si allarga il calcolo a chi ha perso uno o più appuntamenti tra il 2019 e il 2021, si arriva a circa 67 milioni di bambini che rischiano di non essere adeguatamente protetti contro una o più minacce infettive. Le cause non risiedono solo nella sfiducia. Anzi, difficoltà logistiche e di risorse umane hanno compromesso, soprattutto nel 2020, la disponibilità o l’efficienza dei servizi di prevenzione. A queste si è aggiunto il sovraccarico del personale, spesso femminile, che si trovava contemporaneamente a fronteggiare un maggior impegno in casa e sul lavoro, mentre lockdown e paura di uscire di casa anche per portare a vaccinare i bambini spingeva a rimandare gli appuntamenti, scombinando le schedule vaccinali.
Ora che, proprio grazie ai vaccini, siamo quasi tornati alla tanto agognata “normalità”, occorre rinvigorire gli sforzi, non solo sostenendo con risorse economiche e umane i servizi a disposizione delle famiglie perché abbiano strutture, orari, sistemi di prenotazione che facilitino, invece che scoraggiare, gli utenti, ma anche con iniziative di dialogo con le comunità, progetti di ascolto delle paure e dei dubbi che serpeggiano sui social media e programmi di formazione agli operatori sanitari che tengano conto dell’importanza della comunicazione e dell’ascolto.
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