Si dice in Villa - Dalla FNOMCeO una guida per i medici in rete
- Roberta Villa
- Uniflash
Secondo l’ultimo rapporto “We are Social 2022”, prodotto a gennaio 2023 da Hootsuite, più di 7 italiani su 10 fanno uso di almeno una piattaforma di social media e oltre l’83% comunica via Whatsapp. Sebbene queste percentuali siano più alte nelle fasce più giovani, e i medici siano viceversa mediamente più in là con gli anni, è evidente che chi svolge questa professione non vive su un altro pianeta. Molti medici hanno un profilo Facebook, si informano su Twitter (ormai ribattezzato X), pubblicano le loro foto su Instagram e aspettando l’autobus talvolta scrollano i brevi video di TikTok, esattamente come farebbe qualunque altro cittadino. Hanno un gruppo di famiglia, quello della classe del figlio e uno della palestra su Whatsapp. Ma sullo stesso servizio di messaggistica istantanea ricevono spesso anche domande da parte dei loro assistiti e richieste di esami o ricette. Perfino la posta elettronica, nonostante la sua diacronia, nasconde delle insidie.
Perché il lavoro del medico non è un lavoro come tutti gli altri. Così come per avvocati o insegnanti, la delicatezza della sua professione richiede particolari accortezze quando si interagisce via mail o tramite whatsapp con i propri pazienti e, sui social media, anche con sconosciuti.
Molte associazioni mediche internazionali (British Medical Association–BMA, American Medical Association–AMA, American College of Physicians—ACP, Canadian Medical Association—CMA, e l’Australian Medical Association–AMA, 2019) hanno prodotto delle raccomandazioni per un uso appropriato ed etico dei social media da parte dei medici. In Italia, altrettanto ha fatto FNOPI (Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche) per gli infermieri.
Partendo da tutte queste esperienze, anche il gruppo ICT della FNOMCeO ha messo a punto un suo documento di indirizzo. Prima di passare al contenuto, consentitemi un commento. Sebbene la maggioranza dei medici sotto i 70 anni, quelli che più facilmente utilizzano social media e altri strumenti di comunicazione digitale, sia donna, su 25 membri del gruppo di lavoro una sola appartiene al genere femminile. È cosa nota che l’uso dei social media presenta notevoli differenze di genere. Mi sembra un peccato essersi lasciati sfuggire la possibilità di coinvolgere una o più delle tante giovani dottoresse che su diverse piattaforme portano avanti, per esempio, ottimi progetti di promozione della salute.
Sì, perché sui social media un medico può stare in vari modi: può seguire un congresso via YouTube o condividerne i contenuti con chi non ha potuto essere presente via live-Tweet (oggi X), può fare divulgazione su Facebook o Instagram oppure far conoscere il proprio progetto di ricerca su LinkedIn o ancora perseguire altri scopi o tutti questi su piattaforme diverse da quelle che ho ipotizzato.
Come fare però perché questa attività non si riveli controproducente poi nella propria attività principale. Una prima indicazione consiste nel separare la propria vita online con doppi profili, personali e professionali, stabilendo con chiarezza a priori chi può e chi non può accedere a ciascuno dei due. Attenzione quindi ad accettare richieste di amicizia dai propri pazienti. La fragile, ma fondamentale, alleanza tra medico e paziente rischia di incrinarsi a causa di una infuocata discussione su Facebook. E sempre a riguardo dell’animosità che spesso questi strumenti sanno tirare fuori – specie sui temi più polarizzanti – è bene ricordare che il reato di diffamazione esiste anche sul web. Affermazioni o risposte date frettolosamente dallo smartphone in un dibattito online possono essere fraintese, e ricevere un’impropria autorevolezza perché pronunciate – talvolta senza troppa accortezza – da chi ha appesa incorniciata in studio una laurea in medicina. In tal modo, così come quando non si verifica la fonte e la veridicità delle proprie convinzioni, si rischia di alimentare, anche involontariamente, la disinformazione, con conseguenze che possono essere banali o, nei casi più estremi, perfino letali. Per la stessa ragione – ma spero sia ovvio – è tassativamente vietato porre diagnosi o dare consigli clinici sul web. Se si discute un caso clinico, occorre porre ogni cura per rispettare la privacy del paziente, che deve sempre essere irriconoscibile. Ed essere invece il più possibile trasparenti riguardo ai propri eventuali conflitti di interesse.
Il documento, elaborato da Eugenio Santoro, Guido Marinoni, Guerino Carnevale e Francesco Del Zotti è disponibile per tutti sul sito di FNOMCeO, contiene molte altre indicazioni e suggerimenti pratici preziosi, anche relativamente all’uso – apparentemente innocuo – di e-mail e Whatsapp. Merita quindi senz’altro una lettura attenta, e forse anche un periodico ripasso.
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