Si dice in Villa - Colleghi medici più molesti che spiritosi
- Roberta Villa
- Uniflash
Alla luce delle aggressioni ricevute sempre più spesso sul posto di lavoro, mediche e infermiere hanno sempre più paura a coprire le guardie notturne, soprattutto in pronto soccorso. Ma le minacce alle professioniste non vengono solo da pazienti con disturbi mentali o parenti inferociti: i dati provenienti da Oltreoceano suggeriscono che aggressioni e molestie sessuali sono frequenti anche da parte dei colleghi maschi, e come tali più difficili da denunciare senza subire ripercussioni sul posto di lavoro o sulla carriera.
Il movimento #metoo negli anni scorsi ha sollevato il velo che copriva atteggiamenti sessisti, battute di cattivo gusto, ricatti sessuali o vere e proprie violenze in diversi campi, compreso quello della ricerca. Un rapporto delle National Academies of Science (NAS) riferiva nel 2018 che più della metà delle docenti e del personale, e fino alla metà delle studentesse, aveva subito molestie verbali di natura sessuale. Il dato è inferiore solo a quello che si ritrova all’interno dell’esercito, a conferma che una struttura gerarchica facilita la copertura di una realtà così scomoda. Ma proprio in realtà come quelle accademica questo tipo di comportamenti ha, per chi li subisce, una serie di conseguenze a catena che vanno ben oltre il disagio psicologico: spesso costringe una giovane donna a cambiare settore pur di allontanarsi da chi la tormenta, oppure può addirittura convincerla ad abbandonare del tutto il campo.
A cinque anni da quel documento, le cose non vanno molto meglio, almeno in medicina: un nuovo rapporto dell’American Association of Medical Colleges mostra che nelle facoltà di medicina più di una docente donna su tre – e in generale il 22% dei docenti totali –dichiarava di aver subito molestie sessuali. Il dato – riferito agli anni 2019-2021 – è ancora più impressionante nei dipartimenti di medicina d’urgenza e anestesia e rianimazione, dove più della metà delle donne è passata attraverso queste esperienze.
Nemmeno in settori dove le donne prevalgono, come ginecologia e pediatria, queste possono comunque sentirsi più a loro agio. Le cose sembrano andare meglio solo in urologia e radiologia.
Ovviamente ci sono diversi gradi di molestie. Il rapporto considera per esempio il racconto di storielle o battute sessiste da parte dei colleghi che la persona vive come offensive, oppure commenti sgradevoli sul suo aspetto fisico o la sua attività sessuale, riferimenti volgari o insulti ad altre persone del suo genere, atteggiamento di superiorità fino a messaggi di testo o con immagini oscene. Sebbene meno spesso delle donne, è bene ricordare che anche gli uomini possono essere vittime di questi comportamenti, sia quando li subiscono in prima persona, sia quando si trovano a disagio per l’attacco alle colleghe di cui avvertono tutta la inappropriatezza.
Anche nel Regno unito si è scoperchiata la pentola di questo problema, che da noi viene spesso liquidato a risatine. Un’inchiesta congiunta del Guardian e del BMJ ha dimostrato che negli ospedali inglesi si verificano ogni anno decine di migliaia di casi di molestie e aggressioni sessuali non denunciate, comprendendo anche quelle che avvengono tra e da parte dei pazienti. Particolarmente dura è l’esperienza delle chirurghe: un articolo appena pubblicato sul Journal of British Surgery riferisce che almeno due su tre hanno subito molestie verbali e quasi una su tre una vera e propria aggressione sul posto di lavoro.
Il General Medical Council britannico ha risposto a questa serie di segnalazioni introducendo nelle sue linee guida etiche indicazioni precise su che cosa sia lecito o no dire e fare con i colleghi, comprendendo commenti verbali e scritti, immagini mostrate o condivise, oltre che, ovviamente, il contatto fisico. La misura, in vigore dal 30 gennaio, prevede che i medici iscritti all’Albo nel Regno unito “non debbano agire dal punto di vista sessuale nei confronti dei colleghi allo scopo o in un modo che l’atto possa provocare offesa, imbarazzo, umiliazione o disagio”.
Lascia senza parole anche solo pensare che occorra stabilirlo come norma, ma i dati dicono che è proprio necessario. Molti uomini, medici compresi, continuano a pensare che certi apprezzamenti siano da considerare solo spiritosi, non solo con le colleghe, ma anche con le pazienti. E l’Italia, da questo punto di vista, è talmente indietro che non è ancora venuta a galla nemmeno la consapevolezza di quanto certe battute non lo siano affatto.
Qualcuno ricorderà il chirurgo lombardo che recentemente ha definito sul referto di pronto soccorso “cane buongustaio” quello che aveva morso il gluteo di una giovane donna. Si è sorpreso di essere stato sospeso. Pensava di tranquillizzare la paziente “come fosse stata sua figlia”. Forse un’indagine come quelle condotte negli Stati Uniti e nel Regno Unito andrebbe fatta anche da noi.
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