Si dice in Villa - Le vere cose che "non ci dicono" sulla pandemia
- Daniela Ovadia — Agenzia Zoe
- Attualità mediche
di Roberta Villa
"Non ce lo dicono" è uno degli slogan preferiti dai complottisti, anzi, il manifesto del loro atteggiamento mentale, che talvolta arriva a sfiorare la paranoia: la “verità” su mille aspetti della vita e della storia è secondo loro detenuta da una ristretta cerchia di persone, identificate in vario modo a seconda della narrazione prevalente nei diversi contesti. I cosiddetti “poteri forti” a livello nazionale, o un circolo di miliardari più potenti dei governi, immaginati soprattutto come banchieri e operatori dell’alta finanza. Tra questi non possono mancare figure come quelle di Bill Gates e George Soros, i cui nomi sembrano da soli in grado di sostenere qualunque costruzione della fantasia. Se il tema in oggetto può coinvolgere Big pharma, poi, le fondamenta di quella sorta di architettura del pensiero diventano indistruttibili. Queste ipotetiche “verità”, non di rado in evidente contraddizione tra loro, per chi ci crede non potrebbero essere tenute nascoste senza la complicità dei mass media, che quindi devono essere ben pagati per occultarle. I presunti obiettivi vanno da un più probabile sconfinato desiderio di profitto, alla volontà di spiare e controllare la vita delle persone, quando non di sterminare l’umanità. Quale sarebbe, in questo caso, il vantaggio tratto dai suddetti potenti è poco chiaro, ma la paura ha le sue ragioni che la ragione non capisce.
Credono invece di capire tutto i sostenitori di queste teorie, convinti di saper vedere quel che gli altri non vedono e riconoscere collegamenti oscuri tra eventi apparentemente lontani e distinti. È una reazione naturale in chi ricopre un ruolo che sente come marginale nella società o è consapevole di avere basi culturali fragili, ma si ritrova anche in individui di elevata estrazione socioculturale, che con il passare degli anni si sentono sfuggire dalle mani il potere e il controllo su un mondo che cambia a ritmo vertiginoso. La teoria del complotto serve a difendersi da una realtà troppo complessa, da un mondo che diventa di giorno in giorno più difficile da navigare, da una conoscenza sempre più specialistica da cui ci si sente esclusi. Tutto questo si è amplificato in un periodo come quello della pandemia, una crisi che ha un altissimo livello di complessità, ma anche una intollerabile quota di incertezza, difficile da governare a livello emotivo più ancora che razionale.
Eppure ci sono davvero cose che non ci dicono. Temi rimossi o messi in un angolo rispetto alla narrazione corrente che riempie i palinsesti televisivi e le pagine dei giornali con le irrilevanti opinioni o le inattendibili previsioni di attori, politici e ballerine mescolati ai dati e alle parole di epidemiologhe, virologi o altre scienziate.
Sappiamo pochissimo per esempio di che cosa accade nel resto del mondo. L’identificazione della variante Omicron in Sudafrica ha messo in luce il bassissimo livello di copertura di uno dei Paesi del continente che, nonostante questo, è tra quelli messi meno male, con un cittadino vaccinato su 4. L’emergenza ci ha fatto scoprire, accanto alla ricchezza e all’accuratezza del sito del CDC africano, la situazione sconfortante di altri Stati come il Sud Sudan, dove è vaccinato meno dell’1% della popolazione.
Quello che non ci dicono, o che ci dicono poco, forse per non allarmarci, è l’impatto cronico della malattia da SARS-CoV-2. Per mesi la Svezia ha seguito la strategia di perseguire un’immunità diffusa nella popolazione lasciando circolare il virus, e in Italia è stata spesso presa ad esempio come modello di libertà. Ma ora la televisione nazionale del Paese scandinavo ha rivelato che nella sola Stoccolma si contano almeno 200 bambini che a distanza di mesi dalla negativizzazione ancora soffrono di malesseri di vario tipo legati a long covid. E parlando qua e là con le persone si sentono sempre più spesso le testimonianze di chi, anche se giovane e pur avendo avuto l’infezione con soli sintomi influenzali, senza aver necessità di ricovero, a distanza di mesi è ancora incapace di riprendere a pieno ritmo la propria attività professionale o sportiva. Moltissimi studi in tutto il mondo quantificano in diversa misura l’incidenza del fenomeno in relazione ai criteri utilizzati per tenerne conto, ma si tratta in ogni caso di situazioni tutt’altro che eccezionali.
Quello che ancora non ci dicono è che l’etichetta di “clinicamente lieve” per la malattia provocata da Omicron è stata forse attribuita un po’ frettolosamente, più per il disperato bisogno di uscirne che sulla base della solidità dei dati disponibili.
Non ci dicono che molti hanno interessi in gioco, in questa pandemia, non solo le aziende farmaceutiche che producono i vaccini, ma anche quelle che commerciano farmaci, ventilatori e mascherine. Traggono profitto dalla pandemia anche le società che si sono gettate sulla fornitura di rilevatori di CO2 o filtri per l’aria, così come i produttori di test e reagenti. I politici sono a caccia di consenso e i conduttori televisivi di audience, ma non sono meno stringenti le motivazioni di chi ha interesse a far sì che le persone sottovalutino il rischio ma non smettano di viaggiare, andare al ristorante o sottoporsi a esami o procedure non urgenti (e magari non necessarie) nelle strutture sanitarie private.
Nessuno ci spiega perché dopo due anni non ci sia una strategia di comunicazione per la gestione della crisi, non siano stati potenziati in maniera adeguata i servizi di tracciamento né organizzati gli strumenti per rendere le cose più facili a chi deve isolarsi. Nessuno ci spiega perché le norme debbano essere ricercate nelle circolari e nelle FAQ, perché sia impossibile dare ai cittadini informazioni chiare su che cosa fare e che cosa evitare.
Ci sono poi argomenti su cui ogni tanto qualcuno lancia l’allarme, ma che restano voci gridate nel deserto. La verità, per esempio, è che ancora non ci hanno detto abbastanza quanto il personale sanitario non ne possa più della pandemia. Quanti stiano manifestando segni di insofferenza e di burn out, con reazioni aggressive nei confronti di chi ancora non si è vaccinato, forse a questo punto comprensibili, ma mai accettabili secondo i principi basi della deontologia. Non ci dicono abbastanza spesso che ogni giorno ci sono medici che vanno in pensione e non lo ripetiamo abbastanza alle istituzioni per pretendere che siano sostituiti da nuove leve. Entro il 2030, secondo la FIMMG, 15 milioni di italiani resteranno senza medico di famiglia.
Chiedete ai vostri assistiti e pazienti se lo sanno. Scommetto che la maggior parte risponderà che non se lo sarebbe mai immaginato. Queste sono le cose che non ci dicono, le verità scomode, nascoste talvolta sì da una rete di interessi, ma molto più spesso da inerzia, burocrazia, pigrizia o un sistema così incancrenito che sembra non possa essere modificato. Il rischio che si corre inseguendo i complotti è di “attribuire a malafede quel che si può adeguatamente spiegare con la stupidità”, come ammonisce Robert Hanlon nella sua famosa massima. Denunciare le cose che non vanno come professionisti, indagarle come giornalisti, informarsi come cittadini è il primo passo per provare a cambiarle.
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