Screening cervicale, l’auto-prelievo può fare la differenza

  • Elena Riboldi
  • Uniflash
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La bassa adesione agli screening oncologici rimane un problema e ciò è particolarmente vero nelle fasce vulnerabili della popolazione, maggiormente esposte al rischio cancro. Servono soluzioni efficaci e praticabili per fare sì che nessuno sia lasciato indietro. L’approccio testato in uno studio randomizzato condotto negli Stati Uniti, appena pubblicato sulla rivista Lancet Public Health, offre interessanti prospettive per lo screening cervicale: si è visto infatti che inviare a domicilio un kit per l’auto-prelievo del campione raddoppia il tasso di adesione allo screening per l’HPV tra le donne in condizioni socioeconomiche disagiate. L’auto-raccolta del campione forse potrebbe fare la differenza anche laddove questo screening è vissuto con imbarazzo o rappresenta un vero e proprio tabù.

 

Kit a domicilio

Il titolo dello studio di fase 3 “My Body, My Test- 3 (MBMT-3)”, ossia “il mio corpo, il mio test”, indica chiaramente l’intenzione di puntare sull’autodeterminazione della persona. Sono state arruolate 697 donne (25-64 anni), prive di assicurazione medica o inserite nei programmi pubblici di assistenza medica, con un reddito non superiore al 250% della soglia di povertà e in ritardo con lo screening cervicale (4 o più anni dall’ultimo Pap test o 6 o più anni dall’ultimo HPV test).

Le partecipanti sono state assegnate in modo random al gruppo di intervento o al gruppo controllo. Le partecipanti del gruppo intervento hanno ricevuto al proprio domicilio un kit per l’auto-prelievo del campione cervico-vaginale per l’HPV test (campione che hanno poi inviato via posta al laboratorio di analisi) e assistenza telefonica per fissare un appuntamento per un Pap test in ambulatorio, mentre le partecipanti del gruppo controllo hanno ricevuto esclusivamente le telefonate per fissare l’appuntamento. L’esito primario era l’adesione allo screening, definita come esecuzione del test in ambulatorio o test HPV negativo su campione auto-prelevato.

L’adesione allo screening è stata del 72% nel gruppo di intervento e del 37% nel gruppo controllo (RR 1,93 [95%CI 1,62-2,31]). Circa quattro partecipanti del gruppo intervento su cinque hanno consegnato per l’analisi il campione auto-prelevato, una percentuale molto alta che potrebbe essere dipesa dal ricorso intensivo a metodi di sensibilizzazione per arruolare le partecipanti, partecipanti che sono state randomizzate solo dopo avere restituito il consenso informato e potenzialmente particolarmente motivate a completare lo studio. 

 

Pro e contro di questo approccio

“L’auto-raccolta del campione per il test HPV ha una sensibilità e una specificità analoghe a quelle del prelievo da parte del medico per l’individuazione delle lesioni cervicali precancerose se vengono usati saggi di analisi altamente sensibili – scrivono gli autori dello studio, sottolineando che – Un vantaggio dell’auto-raccolta consiste nel fatto che si elimina la necessità di un esame pelvico in ambulatorio. L’auto-prelievo può essere eseguito dove è comodo all’individuo e chi risulta positivo per l’HPV ad alto rischio può essere richiamato per le cure di follow-up”. 

Il follow-up potrebbe rappresentare, assieme ai falsi negativi, uno dei punti critici di questo approccio. “L’esito primario dell’adesione allo screening definita come test negativo per l’HPV ad alto rischio su campioni auto-prelevati potrebbe essere sovrastimato a causa dei limiti del saggio utilizzato – commentano in un editoriale Runzhi Wang e Jenell S. Coleman della Johns Hopkins University School of Medicine (Baltimore), spiegando che tale saggio non ha un controllo interno di adeguatezza del campione – Possono essere stati registrati falsi-negativi per le partecipanti che non hanno raccolto un campione adeguato, assieme ai falsi negativi dovuti alle caratteristiche del test”.

“Ci sono state inoltre difficoltà nelle cure di follow-up per la diagnosi e il trattamento delle lesioni precancerose – proseguono – È perciò possibile che i vantaggi ottenuti aumentando lo screening non si riflettano in una diminuita incidenza di cancro”. Perché questo accada bisogna ottimizzare l’intero processo di prevenzione. “L’ottimizzazione include riforme per rimuovere le barriere economiche ai test diagnostici e ai trattamenti – concludono – il coinvolgimento della comunità, campagne educative e un migliorato accesso a cure di qualità”.