Rechallenge con cetuximab più avelumab nel tumore colorettale
- Daniela Ovadia — Agenzia Zoe
- Attualità mediche
Secondo i risultati di uno studio di fase II che ha coinvolto 8 centri del network GOIM (Gruppo-Oncologico-Italia-Meridionale), la terapia di rechallenge con cetuximab più avelumab è attiva e ben tollerata in pazienti con tumore metastatico del colon-retto (mCRC) con RAS wild-type (WT). E non è tutto: un’analisi del DNA circolante (ctDNA) nel plasma prima di iniziare il trattamento permette di selezionare i pazienti che potranno trarre beneficio dalla terapia.
“L’inibizione di PD-L1 con avelumab in combinazione con cetuximab, un anticorpo monoclonale anti-EGFR, potrebbe essere una valida strategia per potenziare l’attività delle terapie in uso” spiegano su JAMA Oncology gli autori, coordinati da Fortunato Ciardiello, dell’Università degli Studi della Campania “L. Vanvitelli” di Napoli, che hanno valutato la combinazione come trattamento di rechallenge.
Lo studio a singolo braccio e in aperto ha coinvolto 77 pazienti con mCRC confermato per via istologica e presenza di RAS (NRAS e KRAS, esoni 2-3-4) wild type, in progressione dopo risposta maggiore nel corso della prima linea di terapia con anti-EGFR più chemioterapia. “Dopo il fallimento della prima linea di trattamento i pazienti avevano ricevuto almeno una seconda linea di terapia” precisano gli autori, ricordando che il trattamento oggetto dello studio consisteva in avelumab (10 mg/kg ogni 2 settimane) e cetuximab (400 mg/m2 e, in seguito, 250 mg/m2 a cadenza settimanale) fino alla progressione di malattia o a tossicità inaccettabile.
In base ai dati raccolti, la sopravvivenza generale mediana (mOS) è stata di 11,6 mesi, mentre il controllo di malattia è stato raggiunto dal 65% dei pazienti, con una sopravvivenza mediana libera da progressione di 3,6 mesi.
Tra gli effetti collaterali di grado 3 più comuni sono state registrate eruzioni cutanee e diarrea, rispettivamente nel 14% e nel 4% dei pazienti.
“Lo studio ha previsto anche un’analisi del ctDNA per KRAS, NRAS, BRAF ed EGFR-S492R, una tecnica oggi effettuabile sena particolari ostacoli e che ha permesso di identificare 48 pazienti WT e 19 con mutazioni” dicono gli autori, sottolineando le differenze tra questi due gruppi di pazienti in termini di risposta al trattamento.
In effetti, i pazienti con ctDNA RAS/BRAF WT hanno mostrato una mOS di 17,3 rispetto ai 10,4 mesi in pazienti con ctDNA mutato (hazard ratio [HR] 0,49; P=0,02). Differenze emerse anche nella mPFS con valori di 4,1 e 3,0 mesi nei gruppi con ctDNA RAS/BRAF WT e mutato, rispettivamente (HR 0,42; P=0,004).
“La combinazione cetuximab più avelumab è risultata ben tollerata, un dato è degno di nota poichè i trattamenti standard-of-care come regorafenib o trifluridina-tipiracil, hanno beneficio clinico (OS e PFS) di grandezza limitata ma una elevata incidenza di eventi avversi legati al farmaco” concludono.
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