Quale futuro dopo il ricovero in terapia intensiva?
- Daniela Ovadia — Agenzia Zoe
- Notizie dalla letteratura
Messaggi chiave
- Il recupero sul lungo periodo dopo una grave malattia interessa meno della metà di coloro che escono dalla terapia intensiva.
- I survivor hanno una ridotta qualità di vita legata alla salute ed elevatissime esigenze di assistenza sanitaria.
- È essenziale identificare i pazienti a rischio di mancato recupero e individuare interventi personalizzati per supportarli.
Che un ricovero in terapia intensiva sia un evento grave è parte del sentire comune, tuttavia resta sconcertante scoprire che il 55% di coloro che sopravvivono alla terapia intensiva non mostra un recupero fisico significativo a un anno dall’ammissione in reparto. È questo però il dato oggettivo che emerge da uno studio olandese appena pubblicato sulla rivista Plos One.
Gli autori dello studio hanno esaminato una coorte di 81 pazienti ricoverati in terapia intensiva per più di 48 ore e ne hanno misurato la qualità della vita legata alla salute (HRQoL) a 3, 6 e 12 mesi dal ricovero. Hanno poi studiato la relazione tra funzionamento fisico, uso dell’assistenza sanitaria e attività lavorativa.
Dei 65 pazienti che hanno completato la valutazione dell’HRQoL a 12 mesi, 36 non soddisfacevano i criteri per un pieno recupero e sono stati allocati nel gruppo di mancato recupero (non recovery, NR). Questi soggetti presentavano un HRQoL alla baseline significativamente diversa rispetto a quella dei pazienti che avevano ottenuto un pieno recupero. I pazienti nel gruppo NR necessitavano di maggiori cure domiciliari e facevano ricorso con maggiore frequenza all’assistenza sanitaria. Subito dopo le dimissioni solo il 15% dei pazienti del gruppo NR riusciva a partecipare ad attività lavorative e questa percentuale arrivava al 30% a 12 mesi di distanza.
“Il recupero a lungo termine dopo una malattia critica è limitato a una parte di coloro che sopravvivono dopo il ricovero in terapia intensiva. Il recupero limitato trova riscontro nella compromissione dell’HRQoL e nelle profonde conseguenze relative ai bisogni di assistenza sanitaria e alla capacità di reintegrarsi nella società – commentano gli autori – Nel nostro studio l’HRQoL alla baseline, ma non il punteggio sulla scala clinica di fragilità (CSF score), appare essere un importante predittore degli esiti a lungo termine. L’HRQoL derivato da proxy potrebbe aiutare a identificare i pazienti a rischio di mancato recupero sul lungo periodo”.
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