PSA e tumore della prostata, tra linee guida e pratica clinica
- Paolo Spriano
- Uniflash
L’uso del dosaggio dell’Antigene Prostatico-Specifico (PSA) per lo screening del tumore della prostata continua ad essere oggetto di dibattito scientifico per la non univoca interpretazione degli esperti sul bilancio tra il beneficio che determina sulla mortalità e i danni potenziali derivanti dalla sovra-diagnosi.
Le linee guida di screening per il tumore della prostata sono intrinsecamente impegnative per la lunga storia naturale e spesso indolente di questa malattia. Lo screening eseguito troppo presto, o con una soglia del PSA troppo bassa aumenta la sovra-diagnosi, mentre lo screening troppo tardi, o con un limite del PSA troppo alto, non rileva casi potenzialmente curabili, che alla fine possono rivelarsi fatali. Inoltre i rischi e i benefici dello screening variano potenzialmente anche in funzione di età, razza ed etnia (1).
I medici devono essere consapevoli che, nonostante le migliori intenzioni, le linee guida possono essere associate ad esiti negativi delle malattie come quando, in seguito alla raccomandazione della US Preventive Services Task Force (USPSTF) del 2012 contro il PSA di screening per uomini di ogni età (2), si è assistito ad una variazione nelle percentuali annuali di incidenza del tumore della prostata negli uomini di diversi gruppi di età, razza ed etnia (1) con esiti negativi post-prostatectomia e in particolare per mortalità specifica (3,4).
Dato che il tumore della prostata ha una storia che spesso inizia con il medico di medicina generale (MMG) che sceglie di avviare lo screening del PSA, cerchiamo di capire quanto le evidenze recenti e passate possono concorrere ad informare il medico rispetto alla migliore decisione per il paziente.
PSA e prove di evidenza
Le evidenze sul PSA di screening si basano essenzialmente sui risultati non consensuali dei due maggiori trial randomizzati: il Prostate, Lung, Colorectal and Ovarian (PLCO) Cancer Screening trial (5) che dopo 13 anni non ha dimostrato una riduzione di mortalità nel gruppo di screening e all’European Randomized Study Screening for Prostate Cancer (ERSPC) che, per identico tempo di follow up, ha dimostrano una significativa riduzione della mortalità relativa per cancro della prostata (21%) nei soggetti in screening rispetto ai controlli (6).
Nel 2012 USPSTF si era espressa contro il PSA di screening per uomini di ogni età perché, anche se i dati disponibili dimostravano che lo screening salva delle vite, il numero di vite salvate era limitato e il rischio comprovato di danno superava ogni potenziale beneficio (2). Negli anni successivi al 2012 questa raccomandazione negli USA ha determinato la riduzione del PSA di screening e di conseguenza una riduzione delle diagnosi di neoplasia della prostata. Uno studio condotto in 9 centri di riferimento per la gestione e il trattamento del tumore della prostata negli Stati Uniti ha documentato una diminuzione significativa di tumori a basso grado (30,2-17,1%) mentre i tumori ad alto grado sono aumentati (8,4-13,5%) ed è stato evidenziato un aumento del 24% nel numero assoluto di tumori con Gleason score 8+ (7). Successivamente la task force ha rivisto la sua dichiarazione per promuovere un processo decisionale condiviso tra pazienti e medici (8).
Il dibattito scientifico si è concentrato sull’interpretazione critica dei risultati del trial PLCO e in particolare sull’alta percentuale di contaminazione dei test effettuati fuori dallo studio. Era evidente che il 44% dei soggetti aveva eseguito un test del PSA prima della randomizzazione e, nei due bracci del trial, circa l’85% dei partecipanti aveva eseguito almeno un test PSA di screening. Un’ulteriore rivalutazione dei dati del PLCO pubblicata sul New England Journal of Medicine (9), ha portato questa stima al 90%, confermando i limiti e i problemi di interpretabilità dei risultati di questo trial (10).
I risultati di ERSPC (6) dimostrano che per prevenire una morte per neoplasia prostatica devono essere invitati allo screening 781 uomini. Un dato migliore se confrontato a quello che ha portato alla raccomandazione per lo screening del tumore della mammella, dove 1.339 donne di età dai 50 ai 59 anni devono essere sottoposte a screening per prevenire un decesso (11). Pertanto, in base alle evidenze a favore dello screening con PSA per impediree morti di cancro alla prostata, questo beneficio è coerente con i dati epidemiologici, che negli USA hanno mostrato una flessione della mortalità specifica dopo l'introduzione dello screening PSA (7). I dati osservazionali hanno dimostrato che l'avvento dello screening con PSA ha coinciso anche con un minor numero di metastasi e quindi probabilmente riduce la morbilità e i costi associati a tumori metastatici e localmente avanzati.
Screening PSA e malattia metastatica
Seguendo le linee guida del 2012, diversi studi hanno evidenziato una sostanziale diminuzione dell'incidenza del cancro alla prostata non metastatico associata a una diminuzione dei tassi di screening del PSA. Tuttavia dal 2013, la diminuzione dell'incidenza dei casi non metastatici è stata accompagnata da un aumento significativo dell'incidenza di carcinoma prostatico metastatico (13).
Per verificare se la riduzione dei tassi di screening del PSA nel periodo 2005-2014 fosse associata ad una maggiore incidenza successiva di carcinoma prostatico metastatico è stato realizzato uno studio di coorte su 4.678.412 uomini nel 2005 e 5.371.701 uomini nel 2019 aderenti alla US Veterans Healthcare Administration (VHA). Lo studio ha analizzato le variazione dei tassi di screening del PSA in 128 strutture, compresi i tassi di biopsia prostatica e i tassi di carcinoma prostatico non metastatico e metastatico incidenti nel periodo dal 2005 al 2019 (14). Si è osservata una diminuzione assoluta dal 10% al 15% nei tassi di screening del PSA tra i veterani nel periodo di introduzione delle linee guida USPSTF 2008 e 2012, con un successivo aumento dei tassi di non screening a lungo termine, associata a diminuzioni dei tassi di biopsia prostatica e un aumento dei casi di carcinoma prostatico metastatico incidente a partire dal 2012. Uno scenario che suggeriva l'associazione tra tassi di screening del PSA inferiori e tassi di incidenza più elevati di carcinoma prostatico metastatico, in coerenza con la ridotta incidenza di carcinoma prostatico metastatico nel braccio di screening del PSA rispetto al braccio di cura abituale rilevati dello studio ERSPC (6).
PSA: tra linee guida e pratica clinica
In questi ultimi anni il processo di revisione esperta delle linee guida si è orientato a raccomandazioni che considerano il rischio individuale per screening del PSA personalizzati (15). L’American Urological Association (16) raccomanda lo screening del PSA per gli uomini tra i 55 e 69 anni, con decisioni individuali in uomini di età da 40 a 55 anni e con intervalli di ≥ 2 anni. L'American Cancer Society raccomanda lo screening a partire dall'età di 50 anni per soggetti a medio-rischio e intorno ai 40 anni per gli afro-americani e per i soggetti con una storia familiare positiva, dopo di che consiglia di utilizzare i livelli di PSA per determinare la frequenza dei controlli successivi. Il National Comprehensive Cancer Network e European Association of Urology consigliano un test PSA basale a 40 anni e l'utilizzo di livelli di PSA per determinare gli intervalli di screening successivi. Quindi si osserva un generale superamento nella discussione sull'utilità dello screening, ma mirato ad orientare la decisione in equilibrio tra i rischi derivanti dalla sovra-diagnosi e il beneficio di sopravvivenza chiaro ottenibile con il PSA di screening. In quest’ottica i risultati emersi dallo studio della VHA (14),in coerenza con le prove di ERSPC (6), concorrono ad informare i medici riguardo ad un processo decisionale condiviso sui potenziali benefici dello screening del PSA negli uomini che desiderano ridurre il rischio di cancro della prostata metastatico.
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