Polmonite acquisita in comunità, aggiungere o meno un cortisonico all’antibiotico?
- Elena Riboldi
- Uniflash
I pazienti con polmonite acquisita in comunità (CAP, acronimo del nome inglese: community acquired pneumonia) severa trattati con idrocortisone, in aggiunta alla terapia antibiotica, hanno una mortalità significativamente ridotta rispetto ai pazienti a cui è somministrato il placebo. A dirlo è uno studio randomizzato francese. I risultati di questo studio, pubblicati sul New England Journal of Medicine, supportano quindi l’utilizzo dei cortisonici come terapia aggiuntiva per la CAP, una scelta ancora dibattuta per la scarsità di dati di efficacia di qualità e per il timore del rischio di immunosoppressione.
Corticosteroidi e polmonite
Le linee guida per la gestione delle polmoniti sono sempre focalizzate sull’ottimizzazione della terapia antibiotica. Nella stesura delle linee guida del 2019 gli esperti dell’American Thoracic Society e dell’Infectious Diseases Society of America hanno però considerato anche i corticosteroidi come terapia aggiuntiva: non vengono raccomandati per la maggior parte dei pazienti con CAP, ma sono ritenuti indicati per i pazienti con shock settico refrattario, resistente alla rianimazione volemica e ai vasopressori. È in linea con questo ciò che è riportato nelle linee guida della Fondazione GIMBE: “Non prescrivere di routine corticosteroidi ai pazienti con CAP, ad eccezione dei casi in cui siano indicati per altre condizioni cliniche”.
Gli studi condotto sinora non hanno chiarito con certezza quando e come usare i corticosteroidi e quali pazienti ne possano beneficiare in maggior misura. Lo studio CAPE COD, finanziato dal Ministero della Salute francese, fornisce indicazioni utili a riguardo.
Decessi dimezzati
Lo studio di fase 3, condotto in doppio cieco, ha arruolato 800 pazienti adulti ricoverati in terapia intensiva per CAP severa. I partecipanti sono stati randomizzati (1:1) per ricevere idrocortisone (200 mg/die ev per 4 o 8 giorni), oppure il placebo. Tutti i pazienti hanno ricevuto la terapia antibiotica e le terapie di supporto. L’esito primario dello studio era la mortalità a 28 giorni.
La percentuale di pazienti deceduti era pari a 6,2% nel gruppo trattato con idrocortisone e 11,9% nel gruppo assegnato al placebo (differenza assoluta -5,6 punti percentuali [95%CI da -9,6 a -1,7]; P=0,006). Tra i pazienti non sottoposti a ventilazione meccanica alla baseline, la percentuale di chi è stato sottoposto a intubazione endotracheale è stata più bassa nel gruppo idrocortisone (18,0%) che nel gruppo placebo (29,5%; HR 0,59 [95%CI 0,40-0,86]). Tra i pazienti che non ricevevano la terapia vasopressoria alla baseline, la percentuale di chi l’ha iniziata durante lo studio è stata più bassa nel gruppo idrocortisone (15,3%) che nel gruppo placebo (HR 0,59 [IC95% 0,43-0,82]). Non c’erano differenze sostanziali tra i gruppi per infezioni acquisite in ospedale e per sanguinamento gastrointestinale. I pazienti trattati con idrocortisone hanno ricevuto dosi di insulina più alte nella prima settimana di trattamento.
Sesso, tempestività e batteri
I risultati dello studio CAPE COD discordano da quelli di uno studio USA del 2022, in cui l’aggiunta di metilprednisolone alle cure standard non modificava la mortalità a 60 giorni in pazienti con CAP severa. Due medici internisti esperti, Joshua P. Metlay e Grant W. Waterer, in un editoriale suggeriscono alcune possibili spiegazioni di questa discrepanza. La prima è che la percentuale di pazienti di sesso femminile era 4% nello studio USA e 31% in quello francese, in cui peraltro un’analisi dei sottogruppi ha suggerito un beneficio potenzialmente maggiore tra le donne. Una seconda differenza è la tempestività con cui è stato iniziato il trattamento con cortisonici, entro 24 ore nello studio francese e entro 96 ore in quello americano. Un ultimo punto cruciale è la possibile eziologia della CAP; nello studio CAPE COD erano infatti esclusi pazienti con influenza, vi era una percentuale relativamente alta di casi in cui era stato identificato il batterio Streptococcus pneumoniae e quasi il 70% dei partecipanti avevano livelli elevati di proteina C reattiva, un potenziale marcatore di infezione batterica.
“La forza dell’evidenza ora favorisce il tempestivo (<24 ore) inizio della somministrazione di glucocorticoidi nei pazienti adulti con CAP che rispondono ai criteri usati da Dequin e colleghi: insufficienza respiratoria con inizio di ossigenoterapia ad alto flusso come minimo, ricovero in terapia intensiva, assenza di shock settico e influenza alla baseline – concludono Metlay e Waterer, aggiungendo che – Sembra finalmente giunta l’era in cui un rapido test microbiologico molecolare e l’analisi dei biomarcatori di infiammazione porteranno la medicina di precisione nella cura dei pazienti con CAP”.
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