Paralisi, la neurostimolazione aiuta il recupero della funzionalità degli arti superiori

  • Elena Riboldi
  • Uniflash
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Uno studio appena pubblicato sulla rivista Nature Medicine offre ottime prospettive ai pazienti con emiparesi post-ictus. Lo studio, condotto presso il Dipartimento di Medicina Fisica e Riabilitazione dell’Università di Pittsburgh (USA) sotto la direzione di Marco Capogrosso, ha dimostrato che la stimolazione epidurale del midollo spinale cervicale è in grado di migliorare la forza e il controllo motorio di braccia e mani in pazienti con debolezza muscolare cronica post-ictus. Grazie alla neurostimolazione due donne sono tornate a compiere azioni della vita quotidiana, come aprire una serratura o maneggiare una forchetta, che erano loro negate da anni.

Le pazienti hanno descritto la neurostimolazione come “una sensazione di potere nelle braccia” o la sensazione “di essere capace di controllare la mia mano come se sapessi cosa avrei dovuto fare per muoverla”. Di fatto, la stimolazione del midollo spinale (spinal cord stimulation, SCS) supporta gli input sovraspinali residui per cui il paziente riesce a muovere il braccio secondo le proprie intenzioni quando tenta di farlo. Nel momento in cui il device per la SCS è stato rimosso, l’effetto assistivo è stato perso; tuttavia, entrambe le pazienti hanno mostrato un residuo di miglioramento per qualche giorno. Gli autori dello studio sono convinti che questi risultati preliminari lascino sperare che, combinando neurostimolazione e riabilitazione, si possa arrivare in futuro a un vero e proprio recupero post-ictus.

 

I dettagli dello studio

I ricercatori hanno impiantato un device per la stimolazione continua delle radici dorsali dei nervi spinali in due donne che soffrivano di debolezza muscolare cronica degli arti superiori: la prima (31 anni) aveva avuto un ictus emorragico dovuto a una malformazione vascolare nove anni prima dell’arruolamento, mentre la seconda (47 anni) aveva avuto un ictus ischemico causato dalla dissezione della carotide destra 3 anni prima di partecipare allo studio. Gli otto contatti sono stati posizionati a livello del midollo spinale cervicale in posizione dorsolaterale. Poiché lo scopo dello studio era quantificare l’effetto immediato della neurostimolazione sui deficit motori, nel protocollo non è stato incluso nessun programma di allenamento. Dopo 29 giorni, il device è stato rimosso.

La neurostimolazione dei circuiti midollari ha migliorato la forza e la destrezza del braccio e della mano in entrambe le pazienti, come dimostrato dai numerosi test eseguiti a partire dal quarto giorno post-impianto, in sessioni di quattro ore, cinque volte alla settimana. 

Alle pazienti è stato chiesto di applicare tutta la forza possibile durante la flessione e l’estensione isometrica delle articolazioni del braccio e la forza applicata è stata misurata con un dispositivo robotico. Usando un dinamometro è stata valutata la forza di presa della mano. Grazie a un altro dispositivo robotico è stato poi valutato l’effetto della neurostimolazione sulla destrezza. Infine, si è andati a verificare se la stimolazione continua del midollo spinale consentiva alle pazienti di eseguire compiti come afferrare e sollevare oggetti o disegnare una spirale.

 

A chi è diretta questa terapia

La disabilità motoria ha un grosso impatto sulla vita del paziente, perciò l’interesse per terapie innovative in grado di offrire una possibilità di recupero quando tutto il resto non ha funzionato è molto alto. Ma quali sono i pazienti che potrebbero trarre vantaggio dalla SCS? Lo abbiamo chiesto direttamente a Elvira Pirondini, Assistant Professor presso l’Università di Pittsburgh, che ha co-condotto lo studio. “Ad oggi abbiamo testato la tecnologia solo su pazienti cronici, cioè che hanno avuto l’ictus almeno da sei mesi – racconta, spiegando il perché della scelta – Abbiamo voluto testarlo su questo tipo di pazienti perché sono quelli su cui di solito la riabilitazione non ha più molto effetto. Infatti, sappiamo da molti studi che i primi mesi dopo l’ictus sono quelli in cui di solito c’è un maggiore recupero, ma dopo sei mesi dalla lesione purtroppo la situazione si cronicizza e i metodi attuali non sono più efficaci. Il 75% dei pazienti in fase cronica rimane con deficit del braccio e della mano. Non escludiamo che un giorno potremmo testare la nostra tecnologia in pazienti immediatamente dopo l’ictus”.

Se tutti i pazienti con ictus sono eligibili per questo approccio o quali sono i pazienti che possono trarne maggiore beneficio è ciò che il team sta cercando di chiarire con la prosecuzione dei test. “Ad oggi il nostro studio mostra che possiamo applicarlo sia a pazienti con deficit moderati, come la prima paziente e cioè pazienti che hanno difficoltà a usare la mano, ma hanno qualche mobilità residua del braccio, e anche a pazienti più severi, come la seconda paziente, che hanno difficolta a usare il braccio – sottolinea la neuroscienziata italiana, originaria di Sondrio – Questo significa che la tecnologia potrebbe servire a un ampio gruppo di pazienti con un ampio spettro di deficit, ma dobbiamo continuare la ricerca per capire meglio”.

 

Una speranza per le malattie neurodegenerative

La stimolazione epidurale del midollo spinale potrebbe cambiare la vita anche ad altri pazienti e non solo a quelli con emiparesi post-ictus. “Pensiamo che questa tecnologia possa essere applicata a lesioni del midollo spinale. Infatti, per la lesione del midollo spinale e già stata applicata da Grégoire Courtine per il ripristino della funzionalità delle gambe – ci racconta Pirondini, che presso lo stesso istituto in cui lavora il gruppo di Grégoire Courtine, lo Swiss Federal Institute of Technology (EPFL) di Losanna, ha ottenuto la laurea magistrale in Bioingegneria e il dottorato di ricerca in Ingegneria Elettronica. - Forse in futuro queste tecnologia potrebbe essere applicata a patologie neurodegenerative come la sclerosi laterale amiotrofica”.

I progetti di Elvira Pirondini e Marco Capogrosso (marito e moglie oltre che colleghi) per il prossimo futuro sono già ben delineati. “Ad oggi abbiamo ricevuto 8 milioni dal NIH per estendere questo primo studio su altri 4 pazienti. Poi applicheremo la stessa tecnologia, però con un impianto permanente, su 20 pazienti. Questo ci permetterà di valutare meglio quali pazienti possono giovarsi di questa tecnologia e con che tempistiche, e di valutare se questa tecnologia possa essere affiancata a terapie di riabilitazione che possano ulteriormente contribuire a migliorare il recupero”.