Obesità e tumore della tiroide, quale legame e quali strategie?
- Cristina Ferrario
- Uniflash
Esiste un legame tra obesità e rischio di tumore della tiroide, ma restano ancora numerose domande aperte su questa associazione e sulle sue conseguenze in termini di diagnosi e trattamento. Lo spiega in dettaglio Antonio Matrone, dell’Unità operativa di endocrinologia all’Ospedale universitario di Pisa, autore di un editoriale sul tema pubblicato sulla rivista Expert Review of Endocrinology & Metabolism.
“L’obesità è considerate una delle più comuni cause di carcinogenesi, assieme ad alcol e fumo di sigaretta, è associata sia a un aumento dell’incidenza sia alla progressione di malattia e potrebbe contribuire a più del 20% dei decessi legati a cancro” esordisce, ricordando che oggi il legame obesità-cancro è stato molto studiato negli ultimi anni.
Per quanto riguarda il tumore della tiroide, è riconosciuto il ruolo dell’obesità nell’incrementare l’incidenza del tumore papillare (PTC), ma anche in tipologie più aggressive e rare come il tumore follicolare o quello anaplastico. “Di contro, al momento non sono state osservate associazioni tra obesità e tumore midollare della tiroide” scrive l’esperto. “Bisogna ricordare che anche altri fattori di rischio per il tumore tiroideo - come radiazioni ionizzanti o assunzione di iodio - possono interagire con l’obesità per modulare il rischio” aggiunge.
Sulla base di questi dati le linee guida della European Society for Endocrinology (ESE) sul work-up endocrino nell’obesità affermano che al momento non si dispone di dati sufficienti a raccomandare una valutazione sistematica mediante ecografia del collo in soggetti obesi.
Più controversi sono i dati relativi all’associazione tra obesità e caratteristiche di aggressività della malattia neoplastica tiroidee, mentre in termini di ricorrenza non sembrano esserci associazioni significative tra obesità e rischio di recidiva di malattia.
Come sottolinea Matrone in un paragrafo dell’articolo, per leggere e interpretare questi risultati in modo corretto è fondamentale prendere in considerazioni punti di forza e punti deboli degli studi disponibili. “Tra i punti di forza vanno senza dubbio citate le ampie casistiche analizzate, mentre tra i punti deboli va incluso il metodo utilizzato per determinare lo status di obesità: spesso si utilizza l’indice di massa corporea (BMI) con tutte le limitazioni che porta con sé” precisa l’autore, spiegando come in realtà nessuno degli strumenti oggi disponibili (circonferenza vita, rapporto vita-fianchi, tessuto adiposo viscerale e subcutaneo) sia davvero ottimale, se usato da solo. “Inoltre molti degli studi sono osservazionali o retrospettivi, non prevedono aggiustamenti per fattori confondenti o non valutano l’impatto di eventuali terapie sull’associazione” aggiunge.
Ultimo, ma non per importanza, il trattamento. “I dati di cui oggi disponiamo non suggeriscono di trattare questi pazienti in modo personalizzato e le principali linee guida sulla gestione della patologia differenziata non includono l’obesità come comorbilità che influenza il trattamento e la sua successiva gestione” conclude l’autore.
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