Neurocovid, al via gli studi sugli effetti a lungo termine e sui vaccini
- Daniela Ovadia — Agenzia Zoe
- Attualità mediche
Le complicanze e i disturbi neurologici da pandemia saranno transitori o permanenti? Quale sarà l’impatto dei vaccini sul sistema nervoso? Gli esperti della Società Italiana di Neurologia (SIN) hanno pensato di fare chiarezza su un tema sul quale le domande sono più delle risposte.
Neurocovid fin da subito
Le prime segnalazioni di complicanze neurologiche dell’infezione da COVID-19 sono state riportate in uno studio effettuato negli ospedali di Wuhan nei mesi di gennaio e febbraio 2020. Tale studio aveva evidenziato che, su 214 pazienti ricoverati, il 36% presentava complicanze neurologiche, che arrivavano al 45% nei casi più gravi. I sintomi neurologici riportati rientravano in tre categorie:
a) espressioni neurologiche da coinvolgimento del sistema nervoso centrale: cefalea, vertigini, disturbi dello stato di coscienza (confusione, delirium, fino al coma), encefaliti da infezione diretta del virus o su base autoimmune, manifestazioni epilettiche, disturbi motori e sensitivi, spesso legati a ictus ischemici o emorragici;
b) sintomi da compromissione del sistema nervoso periferico: perdita o alterazione del senso dell’olfatto (anosmia, iposmia, cacosmia), del gusto (ageusia, disgeusia), sofferenza diretta o su base immuno-mediata dei nervi periferici (neuralgie, sindrome di Guillan-Barrè);
c) sintomi da danno muscolare scheletrico, che si manifestano con mialgie intense, spesso correlate a rialzo di enzimi liberati dal muscolo (CPK), espressione di danno muscolare diretto.
Molti lavori sono stati prodotti nei mesi successivi in tutto il mondo - sia segnalazioni di singoli casi sia studi multicentrici - che hanno confermato, anche se con percentuali variabili nei diversi studi, queste prime segnalazioni. «In Italia è stata descritta una casistica di 1.760 pazienti COVID ricoverati a Bergamo, epicentro della prima fase, nei quali si sono osservati 137 casi (pari all’8%) di complicanze neurologiche gravi, in prevalenza ictus ischemici. L’incidenza di tali complicanze varia molto nei diversi studi effettuati nei vari Paesi» spiega Carlo Ferrarese, Direttore del Centro di Neuroscienze di Milano, Università di Milano–Bicocca e Direttore della Clinica Neurologica, Ospedale San Gerardo di Monza. «I meccanismi sottostanti sono molteplici: in una minima percentuale possono essere legati a penetrazione del virus nel cervello (attraverso il sangue o tramite i nervi cranici), mentre nella maggior parte dei casi sono legati ad alterazioni della coagulazione innescate dal legame del virus alla parete dei vasi. Inoltre, un meccanismo di danno del sistema nervoso in seguito all’infezione virale può essere legato ad una abnorme attivazione del sistema infiammatorio ed immunologico, con produzione di citochine che possono facilitare un danno immuno-mediato. Proprio per questo il cortisone, che spegne l’infiammazione, oltre agli anticoagulanti che riducono l’ipercoagulabilità, viene spesso utilizzato nelle forme gravi di COVID-19».
I sintomi nel tempo
I problema neurologici non si limitano però alla fase acuta, ma coinvolge le complicanze post-infettive. Negli ambulatori post-COVID attivati nei centri più colpiti nella prima fase sono emersi vari problemi quali astenia protratta, disturbi di concentrazione, a volte disturbi di memoria, che potrebbero essere collegati a piccoli danni vascolari o infiammatori del sistema nervoso, sia centrale che periferico, con ripercussioni a distanza. Questa sintomatologia spesso viene trascurata, mentre andrebbe accuratamente studiata, anche con adeguate indagini strumentali, e monitorata nel tempo.
Inoltre, nei mesi di prolungato isolamento e alterazione dei ritmi di vita e delle abitudini sociali, si evidenzia un peggioramento dei sintomi comportamentali e un aumento del decadimento cognitivo per le oltre 1.200.000 persone affette da demenza in Italia, di cui 720.000 da Alzheimer, e una maggiore incidenza dei disturbi del sonno, che riguardano mediamente 12 milioni di italiani e che durante la pandemia, secondo la SIN, ha subito un raddoppio secco della prevalenza.
«Di fatto, i dati ad oggi pubblicati e l’esperienza accumulata presso l’Unità NeuroCovid dell’ASST Spedali Civili di Brescia non consentono di attribuire a meccanismi precisi né la persistenza né la comparsa successiva di tali sintomi sebbene sia in molti casi chiara la relazione con la gravità dei sintomi all’esordio» spiega Alessandro Padovani, direttore della Clinica neurologica dell’Università degli Studi di Brescia. La caratterizzazione dell'eziologia e della fisiopatologia delle sequele tardive è tuttora in corso e in molti casi riflette i danni d'organo insorti durante la fase di infezione acuta (vedi ictus cerebrale o encefalopatia), spesso in relazione a manifestazioni di uno stato iper-infiammatorio persistente o una risposta anticorpale inadeguata.
«Non meno rilevanti sono, tuttavia, le sequele psicologiche a seguito di un decorso lungo o difficile della malattia oltre a quelli relativi ai cambiamenti dello stile di vita dovuti alla pandemia. Probabilmente, le sequele persistenti di COVID-19 sono espressione di più sindromi risultanti da distinti processi fisiopatologici lungo lo spettro della malattia» continua Padovani.
Oltre ai sintomi neurologici, il cosiddetto Long Covid include sintomi a carico dell’apparato cardiovascolare (endocarditi, miocarditi, scompenso cardiaco), respiratorio (anomalie della funzione respiratoria, fibrosi polmonare, aggravamento BPCO), renale (glomerulonefriti, vasculiti renali, trombosi arterie renali) e dermatologico (eruzioni cutanee, alopecia). Spesso questi sintomi si presentano associati tra loro.
«Nello studio COVID-NEXT, in corso di pubblicazione e tuttora attivo a Brescia, la percentuale di malati precedentemente ospedalizzati con disturbi a distanza è stata superiore al 70% dei casi. Tra i sintomi quelli maggiormente riportati hanno incluso l’astenia, i disturbi cognitivi e di concentrazione, i disturbi del sonno, le mialgie con valori superiori al 30% seguiti da disturbi depressivi, perdita dell’autonomia e da instabilità, disturbi della vista e formicolii» continua l’esperto. «Lo studio in questione ha permesso di rilevare una stretta correlazione del numero dei sintomi neurologici con la gravità dell’infezione COVID, con l’età avanzata e con lo stato di salute ovvero l’elevata multi-morbidità all’ingresso e alla dimissione. Tuttavia, nei soggetti ospedalizzati che non hanno manifestato una gravità elevata, i sintomi più frequenti rilevati a 6 mesi di distanza dall’infezione COVID sono risultati i disturbi depressivi e ansiosi, i disturbi del sonno e i disturbi di concentrazione, presenti in oltre il 30% del campione».
La ricerca è in corso per differenziare i sintomi di un decorso prolungato della malattia da COVID-19 dalle sequele a seguito della risoluzione dell'infezione acuta da SARS-CoV-2, per raggiungere il consenso sul periodo di tempo in cui definire le fasi post-acute e a lungo termine di COVID- 19, e distinguere gli effetti sulla salute legati esclusivamente all'infezione dalle conseguenze delle procedure e dei trattamenti richiesti per l'assistenza di persone con malattie gravi di qualsiasi eziologia. Molti centri neurologici italiani hanno attivato servizi di assistenza post-COVID-19 ambulatoriali con approccio multidisciplinare (con coinvolgimento, oltre che dei neurologi, anche dei neuropsicologi cognitivi e degli psichiatri).
Le incognite del vaccino
In questo contesto si inseriscono i vaccini, dai cui effetti possono dipendere alcuni sintomi neurologici in parte sovrapponibili a quanto osservato per effetto della malattia stessa. In un recente rapporto dell’AIFA sulla sorveglianza dei vaccini, relativo al periodo 27/12/20 – 26/1/21, i sintomi neurologici sono risultati al secondo posto dopo i disturbi nella sede di somministrazione del vaccino. Va però sottolineato che nella massima parte dei casi si è trattato di sintomi lievi e transitori (mal di testa, capogiri, sonnolenza, disturbi del gusto, formicolii).
Considerando la stretta correlazione accertata tra COVID-19 e disturbi neurologici, la Società Italiana di Neurologia si è posta il problema di sorvegliare la campagna vaccinale per verificare se i vaccini possano essere responsabili dell’insorgenza di malattie neurologiche, nonostante i dati finora acquisiti possano tranquillizzare sulla loro sicurezza.
“La gravità di COVID-19, con riferimento all’interessamento del sistema nervoso, giustifica l’esecuzione di uno studio sugli eventuali effetti indesiderati neurologici dei vaccini nella pratica clinica. La SIN si è posta pertanto l’obiettivo di verificare sul campo la sicurezza dei vaccini anti-COVID esaminando pazienti giunti all’osservazione del neurologo per una serie di malattie (ictus cerebrale, Alzheimer, Parkinson, sclerosi laterale amiotrofica, epilessia, sclerosi multipla, malattie del midollo spinale e dei nervi periferici). Questi pazienti saranno confrontati con un gruppo di controllo rappresentato da soggetti che non hanno contratto le stesse malattie” spiega Ettore Beghi, del Dipartimento di Neuroscienze dell’Istituto Mario Negri di Milano.
I soggetti di entrambi i gruppi saranno interrogati per verificare quanti in precedenza fossero stati sottoposti a vaccinazione anti-COVID. Lo studio sarà effettuato in 10 centri distribuiti sull’intero territorio nazionale e sarà completato dopo l’arruolamento di 400 casi e di 400 controlli.
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