Nella malattia metastatica conta anche la salute delle ossa
- Daniela Ovadia — Agenzia Zoe
- Attualità mediche
di Elena Riboldi
L’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) raccomanda che le cure ai pazienti oncologici con malattia metastatica includano un trattamento atto a prevenire gli eventi scheletrici avversi (fratture patologiche, compressione spinale, chirurgia ossea…). Un’inchiesta sponsorizzata da Amgen a cui hanno partecipato più di 350 centri di tutta Italia mostra che questa raccomandazione viene effettivamente seguita nella pratica clinica.
Tutti i pazienti con metastasi ossee, indipendentemente dal tipo di lesione ossea (osteoclastica od osteoblastica), sono a rischio di eventi avversi che coinvolgono lo scheletro. “I danni strutturali alle ossa possono causare morbilità considerevoli, traducendosi in dolore, fratture, compressione del midollo spinale e ipercalcemia – spiega Rossana Berardi dell’Università Politecnica delle Marche – AOU Ospedali Riuniti di Ancona, autrice principale dell’articolo in cui si riassumono i risultati dell’inchiesta – Questi eventi danneggiano largamente la qualità della vita del paziente”.
I farmaci più utilizzati per prevenire gli eventi scheletrici avversi sono il bifosfonato zolendronato e l’anticorpo monoclonale anti-RANKL denosumab. Gli autori dell’inchiesta si sono informati sulle scelte operate dagli oncologi italiani. Dei 707 centri (cancer centers, ospedali universitari e non universitari) invitati a partecipare, 357 hanno accettato. Per ogni centro un solo oncologo che seguiva pazienti con tumori solidi e metastasi ossee ha compilato un questionario che comprendeva sia domande a risposta chiusa che domande a risposta aperta.
Nei 12 mesi precedenti l’inchiesta, i centri coinvolti avevano avuto in carico 251.164 pazienti con tumori solidi, 61.064 (24,3%) dei quali aveva metastasi ossee. Di questi il 13% non ha ricevuto nessun trattamento, il 45% ha ricevuto l’acido zoledronico, il 36% il denosumab, il 2% bifosfonati diversi dal l’acido zoledronico e il 3% altri trattamenti farmacologici. Per quanto riguarda il trattamento con denosumab, in quasi la totalità dei casi veniva somministrato ogni 4 settimane e il trattamento durava in media 20 mesi (range 2-48 mesi) nei pazienti con tumore alla mammella, 20 mesi (range 1-36 mesi) nei pazienti con tumore alla prostata e 12 mesi (range 1-24 mesi) nei pazienti con tumore al polmone. La durata del trattamento con denosumab era inferiore a quella raccomandata (almeno 2 anni), forse perché i pazienti versavano in cattive condizioni o per comparsa dell’evento avverso più comune sia con i bifosfonati sia con denosumab, l’osteonecrosi della mascella.
“Questa inchiesta ha mostrato che gli oncologi italiani favoriscono l’uso della terapia per le ossa al fine di prevenire gli eventi avversi scheletrici in pazienti affetti da tumore metastatico alla mammella, alla prostata o al polmone – riassumono gli autori nell'articolo pubblicato sulla rivista European Review for Medical and Pharmacological Sciences – Denosumab viene somministrato con lo schema raccomandato, ma per un periodo più breve di quello suggerito in base alle evidenze”.
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