Muoversi subito è cruciale per recuperare dopo un intervento
- Elena Riboldi
- Uniflash
La mobilizzazione precoce del paziente fa parte del protocollo ERAS (“Enhanced Recovery After Surgery”, ossia “miglior recupero dopo un intervento chirurgico”), tuttavia, tale raccomandazione è basata sull’esperienza più che sull’evidenza perché non si riusciva a quantificare in modo oggettivo questo parametro.
Lo hanno fatto alcuni chirurghi americani che, utilizzando un sistema di monitoraggio dotato di accelerometro, hanno stimato che aumentando di un’ora e mezza al giorno la mobilizzazione subito dopo l’intervento si riduce del 25% il rischio di complicanze e di un ricovero più lungo.
Quantificare il movimento
Lo studio, a cui hanno collaborato la Wake Forest University School of Medicine di Winston-Salem (North Carolina) e la Cleveland Clinic di Cleveland (Ohio), ha riguardato 8.653 pazienti sottoposti a un intervento elettivo di chirurgia maggiore tra il 2017 e il 2020. I criteri di inclusione erano una durata dell’intervento superiore a 2 ore, una degenza minima di 48 ore e un monitoraggio continuo di almeno 12 ore con il sistema ViSiMobile nelle prime 48 ore. Questo sistema, usato di routine nella clinica Winston-Salem, comprende un accelerometro a 3 assi posizionato sul tronco che permette di identificare la postura del paziente a intervalli di 15 secondi. Gli autori dello studio, pubblicato sulla rivista JAMA Surgery, hanno considerato il paziente mobilizzato nei momenti in cui era seduto con la schiena dritta o camminava. L’esito composito primario includeva danno miocardico, ileo, ictus, tromboembolismo venoso, complicanze polmonari e mortalità ospedaliera per ogni causa.
Il 7,3% dei pazienti ha sperimentato l’esito primario. Il valore mediano del tempo di mobilizzazione era basso: 3,2 minuti/ora (IQR 0,9-7,4) per i pazienti che hanno sperimentato l’esito primario e 4,1 minuti/ora (IQR 1,8-7,9) per i pazienti che non lo hanno sperimentato. Vi era un’associazione significativa tra mobilizzazione postoperatoria e complicanze (HR 0,75 [95%CI 0,67-0,84; P<0,001] per ogni 4 minuti/ora in più di mobilizzazione). L’associazione era significativa per gli interventi di chirurgia toracica, colorettale e ortopedica, ma non per quelli di chirurgia cardiaca.
Gli autori dell’analisi hanno osservato anche che un aumento della mobilizzazione si associava a una riduzione della durata del ricovero (-0,12 giorni [95% da -0,09 a -0,15; P<0,001] per ogni 4 minuti/ora in più di mobilizzazione). Non vi era invece nessuna associazione tra mobilizzazione e dolore postoperatorio o riammissione in ospedale nei 30 giorni successivi all’intervento.
Uno sforzo importante ma non banale
“In questo studio di coorte su pazienti sottoposti a chirurgia non cardiaca monitorati dopo l’intervento con un accelerometro indossabile, una maggiore mobilità si associava a minori complicanze e a un’ospedalizzazione più breve” concludono gli autori dello studio.
“Nonostante i benefici della mobilizzazione postoperatoria siano intuitivi e almeno teoricamente facilmente implementabili, sorprendentemente ci sono poche prove che la mobilizzazione migliori gli esiti – ha commentato Martin Almquist, Professore associato di Chirurgia all’Università di Lund (Svezia) – È difficile, e forse non etico, randomizzare i pazienti a molta o poca mobilizzazione. Perciò studi osservazionali su grande scala, come quello presente, hanno un ruolo importante nel colmare questo vuoto di conoscenza”.
“Tuttavia, correlazione non vuol dire causalità – sottolinea Almquist, pur riconoscendo che – In questo caso gli autori hanno corretto l’analisi non solo per le variabili preoperatorie (come età, sesso, tipo di chirurgia e comorbidità), ma hanno tenuto conto anche di fattori intraoperatori (come tipo di anestesia, durata dell’intervento e perdita ematica). Di conseguenza è plausibile che l’associazione osservata possa essere causale”.
Gli autori ammettono il limite dato dalla natura osservazionale dello studio, aggiungendo una riflessione importante sulle potenziali problematiche in termini di risorse. “Anche assumendo che l’associazione sia completamente causale e non almeno in parte risultante da fattori confondenti, sarebbe necessario aumentare di 1,5 ore la mobilizzazione giornaliera (vale a dire più o meno raddoppiarla) per ridurre le complicanze di un quarto – scrivono – Un aumento simile nella mobilizzazione necessiterebbe di uno sforzo sostanziale da parte degli infermieri e dei pazienti, per quanto il potenziale beneficio potrebbe essere clinicamente rilevante se i risultati venissero confermati nel contesto di un trial clinico”.
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