Litio e tossicità renale, cosa sappiamo
- Elena Riboldi
- Uniflash
Uno studio svedese che ha coinvolto quasi 11.000 pazienti mostra che i nuovi utilizzatori di litio corrono gli stessi rischi di malattia renale cronica (CKD), albuminuria e danno renale acuto (AKI) di chi inizia a usare il valproato. Alti livelli sierici di litio si associano a maggiori probabilità di sviluppare problemi renali nel futuro ed è perciò essenziale che i pazienti che assumono litio siano sottoposti a un monitoraggio attento.
“Questo studio di coorte fornisce, per quanto ne sappiamo, le stime più aggiornate sui possibili effetti a lungo termine della terapia con il litio, supportando l’ipotesi che una durata più lunga possa rappresentare un fattore di rischio per la malattia renale cronica e identificando per la prima volta alti livelli di litio come fattore di rischio per il danno renale acuto – sintetizzano così il loro studio gli autori dell’articolo pubblicato sulla rivista JAMA Network Open, aggiungendo una considerazione importante – Abbiamo però scoperto anche che i rischi assoluti sono piccoli, riteniamo quindi che sia necessario soppesare questi rischi con l’efficacia del litio e i suoi benefici nel comportamento suicidario”.
Litio e nefrotossicità
Il litio è il trattamento profilattico più efficace nel disturbo bipolare ed è in grado di aumentare gli effetti di altri farmaci nella depressione resistente al trattamento, ma a frenarne l’utilizzo sono i timori relativi alla nefrotossicità. È stato tuttavia suggerito che con le moderne modalità di impiego (livelli raccomandati 0,6-0,8 mmol/L, fino a 1,0 mmol/L solo se la risposta è insufficiente e il paziente ha una buona tolleranza) il rischio di dialisi e trapianto di rene sia molto ridotto.
“Nonostante il dibattito sui benefici e i danni di questo medicinale sia in corso da oltre cinque decenni, i rischi assoluti e relativi di danno renale sono ancora poco caratterizzati” affermano gli autori dello studio, elencando diverse carenze metodologiche che hanno inficiato la ricerca condotta sinora, tra cui il fatto che in genere mancava un comparatore attivo. Hanno per questo deciso di confrontare i danni renali nei pazienti trattati con litio e in quelli trattati con valproato, un farmaco che ha indicazioni simili ma non è sospettato di nefrotossicità.
I nuovi dati
Sono stati analizzati i dati raccolti dal progetto Stockholm Creatinine Measurements (SCREAM), un database amministrativo relativo a una coorte di soggetti adulti residenti nell’area di Stoccolma (Svezia), tra cui sono stati selezionati i nuovi utilizzatori di litio (n=5.308) e valproato (n=5.638) nel periodo 2007-2018. L’esito primario era la progressione della CKD (definita come necessità di dialisi/trapianto o riduzione superiore al 30% della velocità di filtrazione glomerulare [eGFR]), l’esito secondario era l’AKI.
Durante il follow-up si sono verificato 421 casi di progressione della CKD e 770 di AKI. Rispetto agli utilizzatori di valproato, gli utilizzatori di litio non avevano un rischio più alto di CKD (HR 1,11 [95%CI 0,86-1,45]) e AKI (HR 0,88 [0,70-1,10]). Il rischio assoluto di CKD a 10 anni era simile (8,4% con il litio e 8,2% con il valproato). Anche il rischio di albuminuria e la riduzione annuale dell’eGFR erano paragonabili tra i gruppi.
Solo nel 3% delle 35.000 misurazioni fatte i livelli di litio erano superiori a 1,0 mmol/L. I pazienti con livelli di litio >1 mmol/L avevano un rischio più alto di progressione della CKD (HR 2,86 [95%CI 0,97-8,45]) e AKI (HR 3,51 [1,41-8,76]) rispetto ai pazienti i cui livelli non raggiungevano questo valore.
In conclusione, l’inizio della terapia con il litio non si associa a problemi renali, tuttavia esiste il rischio di esiti renali avversi se i livelli di litio sono alti, quindi i pazienti vanno costantemente monitorati e il dosaggio del farmaco va aggiustato per evitare livelli tossici.
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