Lecanemab, un nuovo strumento per combattere l’Alzheimer

  • Benedetta Pagni
  • Uniflash
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In questi giorni è uscito su Neuron un articolo dal titolo poco intrigante ma dal contenuto estremamente impattante. Il team di Dennis J. Selkoe del Brigham and Women’s Hospital a Boston (US) ha identificato il target del lecanemab, una terapia per trattare l’Alzheimer in fase di trial clinico. Sembrerebbe che questo anticorpo sia in grado di legare la proteina beta-amiloide, responsabile dei principali effetti neurodegenerativi della malattia di Alzheimer (MA). Più di 50 milioni di persone in tutto al mondo sono affette da una forma di demenza causata dal MA e la necessità di una cura è urgente.

 

Chi è e cosa fa

“I risultati di questa scoperta sono provvidenziali perché per la prima volta abbiamo una terapia che può davvero aiutare le persone a combattere l’Alzheimer e il declino cognitivo” dichiara Selkoe. Che continua: “Sono parole che non abbiamo mai potuto pronunciare prima di oggi”.

Il lecanemab è una terapia biologica ancora in corso di validazione, ma a gennaio la Food and Drug Administration l’ha approvata per il trattamento della MA. Durante lo studio di fase 3, questo trattamento ha mostrato ottimi risultati sui pazienti, determinando un rallentamento del declino cognitivo, come la perdita della memoria.

Nonostante i risultati positivi, rimaneva una solo incognita attorno al lecanemab: non era noto il meccanismo molecolare alla base del suo funzionamento. Ed è qui che si inserisce l’importanza dello studio del team di Selkoe. L’anticorpo alla base del lecanemab è in grado di legarsi alle particelle di beta-amiloide disperse nel tessuto cerebrale.

 

Il “cattivo” misterioso

“Nessuno fino ad oggi era riuscito a determinare con precisione la struttura molecolare delle particelle che il lecanemab è in grado di legare” ha detto il primo autore della ricerca, Andrew Stern, neurologo al Brigham and Women’s Hospital. “Con questo lavoro abbiamo identificato la struttura delle proteine beta-amiloidi libere o ‘protofibrille’ direttamente dal cervello umano. Risultato importante non solo per la scienza, ma anche per il paziente che desidera sapere come funziona il lecanemab.”

I ricercatori, infatti, sono riusciti a isolare gli oligomeri solubili di proteina beta-amiloide in seguito a ultracentrifugazioni sequenziali di tessuto cerebrale di un paziente deceduto affetto da MA. L’altra novità è l’aver definito che la struttura molecolare di queste ‘fibrille’ amiloidi solubili è identica a quelle delle placche beta-amiloidi insolubili, responsabili delle disfunzioni sinaptiche e delle degenerazione delle connessioni cerebrali.

La definizione di queste strutture amiloidi solubili è necessaria per il design di nuovi trattamenti e di nuovi farmaci. Come dice il responsabile dello studio, Selkoe: “È difficile combattere un nemico che non si conosce. E siamo lieti che i risultati del nostro studio siano usciti in concomitanza con l’approvazione del lecanemab e della sua disponibilità come farmaco per il trattamento della MA”.

In futuro, il team angloamericano si propone di capire come queste fibrille solubili si muovono nel cervello e come reagisce il sistema immunitario, già oggetto di studio nello sviluppo della patologia, a questi aggregati pericolosi.