La strategia giusta per l’ischemia cronica che minaccia gli arti

  • Alessia De Chiara
  • Notizie dalla letteratura
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Messaggi chiave

  • In pazienti con ischemia cronica che minaccia gli arti ma con una vena grande safena adeguata all’uso, l’esecuzione di un bypass chirurgico come trattamento iniziale dà risultati migliori di un intervento endovascolare.
  • Lo studio sottolinea l’importanza del processo decisionale individualizzato nei pazienti in cui il bypass non è appropriato.

In pazienti affetti da ischemia cronica che minaccia gli arti (chronic limb-threatening ischemia, CLTI) idonei alla rivascolarizzazione sia endovascolare che chirurgica e con una vena grande safena adeguata all’uso, il bypass chirurgico funziona meglio dell'intervento endovascolare. I casi di eventi avversi maggiori a carico degli arti compromessi e il decesso risultano infatti inferiori del 32%, differenza che però non si riscontra nei pazienti in cui la vena safena è inadeguata a sostenere il bypass chirurgico. “Nel complesso, i risultati di questo ampio studio internazionale suggeriscono che la pianificazione del trattamento dovrebbe includere una valutazione del rischio chirurgico e una determinazione dell'affidabilità della vena safena” scrivono i ricercatori su New England Journal of Medicine.

BEST-CLI, questo il nome dello studio, ha coinvolto 1.830 pazienti con CLTI causata da arteriopatia periferica e idonei a entrambi i metodi di rivascolarizzazione, provenienti da Stati Uniti, Canada, Finlandia, Italia e Nuova Zelanda, divisi in 2 coorti di studio. Alla coorte 1 sono stati assegnati i soggetti con un singolo segmento della vena grande safena che poteva essere utilizzato per un intervento chirurgico, mentre nella coorte 2 sono stati inclusi i pazienti che avevano bisogno di un bypass alternativo. I partecipanti sono stati quindi randomizzati per la rivascolarizzazione chirurgica o a una terapia endovascolare.

I casi di amputazione sopra la caviglia o di reintervento maggiore dell’arto quali un nuovo innesto di bypass o revisione dell’innesto, trombectomia o trombolisi, oppure morte per qualsiasi causa sono comparsi nella coorte 1 nel 42,6% (302/709) dei pazienti assegnati al gruppo di chirurgia e nel 57,4% di quelli del gruppo di terapia endovascolare dopo un follow-up mediano di 2,7 anni (HR 0,68). Il minor rischio nel gruppo di chirurgia è legato principalmente dal minor numero di reinterventi maggiori e amputazioni sopra la caviglia. Nella coorte 2, invece, l’incidenza di eventi avversi maggiori o decesso era simile tra i gruppi (42,8% (83/194) vs 47,7% (95/199) di casi di eventi avversi dopo un follow-up mediano di 1,6 anni).

Secondo l'editoriale che accompagna lo studio, malgrado alcuni limiti dello stesso si tratta di una forte indicazione a prediligere quando possibile la tecnica del bypass chirurgico.