Italia e resto d'Europa: sistemi sanitari a confronto
- Daniela Ovadia — Agenzia Zoe
- Attualità mediche
di Fabio Turone (Agenzia Zoe)
Il confronto tra il sistema sanitario italiano e quello di altri cinque paesi europei conferma la necessità di sfruttare i fondi del PNRR per riportare le cure primarie al centro dell'agenda della politica sanitaria in Italia (Univadis Medscape Italia ne ha parlato anche in questo articolo sul decreto ministeriale relativo alla nuova medicina del territorio).
L'importanza cruciale di questa rinnovata attenzione per la medicina del territorio emerge dall'approfondito rapporto dell'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (AGENAS), che in un centinaio di pagine ha messo l'Italia a confronto con Francia, Germania, Gran Bretagna, Spagna e Svezia. Il nutrito gruppo di autori, di AGENAS, Fondazione The Bridge e Università di Pavia, è partito dall’analisi della letteratura – compresa quella "grigia" – per poi svolgere approfondite interviste con referenti nazionali individuati grazie all'osservatorio europeo sui sistemi e le politiche sanitarie (European Observatory on Health Systems and Policies). Questa analisi conferma che i sistemi caratterizzati da un’adeguata assistenza sanitaria garantiscono non solo migliori risultati in termini di salute della popolazione ma anche una crescita della soddisfazione dei pazienti per le prestazioni ricevute.
Che cosa si intende per "cure primarie"
La definizione di cure primarie adottata a livello europeo le identifica come “la fornitura di servizi di salute e di comunità universalmente accessibili, completi e centrati sulla persona, forniti da un gruppo di professionisti responsabili di occuparsi di un'ampia maggioranza dei bisogni personali di salute. Questi servizi" continua la definizione formale "sono erogati nell'ambito di una collaborazione continuativa con i pazienti e i caregiver informali, nel contesto della famiglie e della comunità, e svolgono un ruolo centrale nel coordinamento generale e nella continuità delle cure".
Le definizione è consapevolmente ampia e generica, perché parte dalla consapevolezza del fatto che l’assistenza primaria deve potersi adattare alle contingenze: "La primary care va intesa come primo punto di accesso al sistema sanitario nel suo complesso e, per tale motivo, le figure che vi operano, con particolare riferimento al medico di medicina generale, potrebbero svolgere il cosiddetto ruolo di gatekeeping, termine usato per indicare un’azione di “filtro” all’accesso verso attività specialistiche e diagnostiche o al ricovero in ospedale" si legge nel rapporto. "Le altre figure che possono essere coinvolte nel contesto dell’assistenza primaria sono individuate tra pediatri, odontoiatri, dietisti, infermieri, optometristi, ostetriche, farmacisti, fisioterapisti, psicologi, assistenti sociali e terapisti occupazionali". Gli autori sottolineano che, anche se queste figure professionali possono fornire prestazioni specialistiche di secondo livello, è opportuno idealmente coinvolgerle nell’assistenza primaria con ruoli di consulenza o di primo intervento, per garantire la migliore efficienza delle cure.
L’erogazione e l’organizzazione dei servizi di assistenza primaria rappresentano una sfida per tutti i sistemi sanitari analizzati a prescindere dal fatto che sia un sistema universalistico, assicurativo o misto. Anche se le soluzioni organizzative appaiono diverse, però, le complessità che i sistemi sanitari affrontano nei paesi studiati sono sostanzialmente sovrapponibili.
I principali aspetti su cui tutti sono impegnati riguardano, in particolare, lo sviluppo di équipe multiprofessionali e multidisciplinari di assistenza primaria e l’individuazione di modalità organizzative a garanzia della integrazione ospedale-territorio. La maggior parte dei Paesi, infatti, a prescindere dal ruolo di filtro o meno del medico di medicina generale, individua come obiettivo la costituzione di équipe multiprofessionali e multidisciplinari di assistenza primaria, che condividano spazi e attrezzature al fine di prendere in carico i pazienti cronici più complessi. È interessante notare che il modello organizzativo adottato nel contesto dell’assistenza primaria non risente delle modalità contrattuali del personale sanitario, il quale può lavorare in équipe o nei singoli studi, puntando all’integrazione e alla condivisione della presa in carico.
Paese che vai, organizzazione che trovi
Anche in Francia, come in Italia, i medici di medicina generale tendono oggi a lavorare da soli, senza un efficace coordinamento con le strutture che erogano prestazioni specialistiche, anche se negli ultimi quindici anni è stato avviato un processo che dovrebbe aumentare la presenza sul territorio di ambulatori multidisciplinari di gruppo, che per la maggior parte, a oggi, si limitano a medici di medicina generale e qualche infermiere.
In Germania i medici che lavorano nell'ambito dell'assicurazione sanitaria pubblica sono organizzati in associazioni regionali, che hanno il compito di predisporre e mettere in atto un “piano di localizzazione” che definisce il numero e la distribuzione dei liberi professionisti. L’assistenza primaria è erogata a livello ambulatoriale, senza una chiara separazione in base alla specializzazione del medico. Il rapporto segnala l'assenza di strutture, studi o centri medici, che affidino il coordinamento dell'assistenza agli infermieri. Anche il coordinamento tra il medico del territorio e le altre discipline professionali appare essere carente, così come tra servizi sanitari e sociali, secondo il rapporto dell'Agenas.
Gran Bretagna, Spagna e Svezia mostrano però che l'integrazione tra figure professionali non è un miraggio. In Svezia, per esempio, l’organizzazione dell’assistenza primaria (che presenta differenze tra le diverse le contee) ruota di norma attorno alle Unità di assistenza primaria, costituite da numerosi medici di medicina generale che lavorano in équipe con altre tipologie di personale. Appena il 5% dei medici di medicina generale lavora da solo.
In Gran Bretagna i gruppi di general practitioners prevedono fino a dieci specialisti, che lavorano in rete con altre figure professionali, come farmacisti o fisioterapisti, e collaborano con i servizi di salute mentale, l’assistenza sociale, le farmacie, gli ospedali e le associazioni di volontariato in gruppi chiamati Primary Care Networks (PCN). Gli studi medici fanno poi capo a circa 1.250 reti, che coprono ciascuna una popolazione di 30-50.000 assistiti. L'aspetto che secondo il rapporto rimane carente è l’integrazione sociosanitaria.
Anche in Spagna, infine, il Servizio Sanitario Nazionale è basato su équipe di cure primarie che in genere operano all'interno di strutture di proprietà pubblica (nazionale, regionale o municipale), anche se non mancano strutture private in cui erogare, in regime pubblico, parte dei servizi sanitari. Ai centri di primary care, dove operano in team mmg e infermieri con personale di supporto, si affiancano in Spagna gli uffici locali di salute, collegati ai primi, che operano in aree più isolate offrendo servizi di base.
Le funzioni e la composizione delle équipe di assistenza primaria nei diversi Paesi appaiono sostanzialmente simili, e ovunque i medici di medicina generale svolgono un ruolo importante, spesso in sinergia con gli infermieri. Un fattore critico comune alle diverse realtà analizzate è l’integrazione tra ospedale e territorio, con un adeguato scambio di informazioni tra professionisti afferenti a servizi diversi. Lo sviluppo di sistemi informativi integrati e l’adozione di soluzioni tecnologiche innovative è fortemente frammentata in tutti i paesi studiati.
Inoltre, i Paesi analizzati mostrano diversi gradi di maturità nel coinvolgimento del paziente e del caregiver nel percorso di cura, nonché nell’attivare tutte le risorse formali e informali presenti nella comunità di riferimento.
Le sfide da affrontare
I servizi sanitari hanno oggi davanti a sé sfide emergenti, con in prima fila la cosiddetta transizione epidemiologica, frutto della riduzione congiunta della mortalità in età avanzata e della natalità, per cui cresce la percentuale di popolazione anziana, e con essa crescono i bisogni di salute. Ma il rapporto elenca altre sfide cruciali, che finora sono state considerate solo in modo parziale: lo sviluppo delle tecnologie in medicina; i cambiamenti degli stili di vita della società contemporanea; le responsabilità dei servizi sanitari nel dare una risposta alla crescente aspettativa dei cittadini; i fattori controllabili di matrice non sanitaria della popolazione assistita (condizioni finanziarie, istruzione, livello di alfabetizzazione).
“In Italia, un’opportunità fondamentale è oggi rappresentata dal PNRR" ha spiegato il direttore generale di Agenas Domenico Mantoan, tra gli autori del rapporto (che è disponibile online in pdf qui). "Gli interventi previsti nella Missione 6 Componente 1, ‘Reti di prossimità, strutture e telemedicina per l’assistenza sanitaria territoriale’, sono infatti destinati a rafforzare i servizi sanitari territoriali, attraverso un approccio multidisciplinare e su più livelli, dalla creazione di strutture e presidi destinati alla definizione della rete territoriale, al rafforzamento dell’assistenza domiciliare, puntando anche su una più efficace integrazione tra servizi sanitari e sociosanitari. Coerentemente con i principi del PNRR, inoltre, trasversalmente nelle due componenti della Missione 6, si punta alla digitalizzazione del servizio sanitario nazionale, potenziando il concetto di sanità digitale, con particolare attenzione alla telemedicina. Si tratta dunque di un’occasione unica per dar vita ad un sistema sanitario nazionale più equo e sostenibile, che sia realmente organizzato intorno ai bisogni di salute della popolazione, al fine di assicurare elevati standard di qualità ed efficienza anche grazie allo sviluppo tecnologico e scientifico.”
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