In arrivo sonda per chirurgia di precisione, scova residui tumorali

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Roma, 5 ott. (Adnkronos Salute) - In arrivo la sonda che identifica in tempo reale i residui tumorali durante l'intervento chirurgico. A compiere un nuovo passo avanti verso una chirurgia sempre più di precisione potrebbe contribuire una sperimentazione in-vivo su pazienti, avviata nelle scorse settimane, per validare una tecnica di chirurgia radioguidata con farmaci che emettono radiazione beta. La tecnica, sviluppata dalla Sapienza università di Roma e dall’Infn (Istituto nazionale di fisica nucleare), è frutto della stretta collaborazione interdisciplinare tra fisici, chimici, radio-farmacisti, medici nucleari e chirurghi. Potrebbe diventare uno strumento aggiuntivo a supporto del chirurgo oncologico durante la rimozione dei tumori.

La tecnica consiste nel rivelare, grazie a una sonda, la radiazione emessa da una sostanza radioattiva, un radiofarmaco contenente una specifica molecola che viene riconosciuta e metabolizzata dai recettori delle cellule tumorali. In questo modo - spiega la Sapienza in una nota - è possibile verificare direttamente durante l’operazione se i tessuti analizzati siano tumorali o meno, e quindi guidare il chirurgo sulle sedi da rimuovere. Il progetto si basa su un’idea iniziale, brevettata nel 2013 da Sapienza, Infn e Centro Fermi museo della scienza, che prevedeva l’utilizzo di radiazione beta. Una strada che si è rivelata poco praticabile.

Dopo studi condotti in collaborazione con l’Istituto neurologico Besta, l’Istituto europeo di oncologia, il Leiden University Medical Center e il Policlinico universitario Fondazione Agostino Gemelli, la scelta è caduta sulla radiazione beta+, caratterizzata dall’emissione di un positrone, l’antiparticella dell’elettrone, e da due fotoni, usata quotidianamente nei reparti di medicina nucleare per gli esami diagnostici Pet.

“Mentre la radiazione beta, alla luce delle sue caratteristiche, risulta poco adatta alle indagini diagnostiche - chiarisce Francesco Collamati, ricercatore della sezione Infn di Roma, attuale principal investigator dello studio - i fotoni della radiazione beta+ sono in grado di attraversare senza ostacoli i tessuti del paziente, per essere infine rivelati da apparati diagnostici esterni. Da qui il diffuso utilizzo negli ospedali di farmaci beta+, che potranno quindi essere in parte utilizzati anche per la nostra tecnica".

Nonostante la loro reperibilità, rispetto a quelli emettenti beta-, questi radiofarmaci presentano difficoltà legate all’abbondanza dei fotoni prodotti non solo nei tessuti malati, ma anche in tutte le aree del corpo raggiunte dalla molecola dopo la somministrazione, che possono disturbare i segnali rivelati dalla sonda. “Per questa ragione risulta necessario continuare a effettuare test che consentano di comprendere e calibrare il dispositivo e di fornire ai medici indicazioni, per esempio, sui livelli di conteggi associati all’effettiva presenza di un tumore", chiosa Collamati.

Dopo anni di studi di fattibilità e test ex-vivo, effettuati cioè su campioni di tessuto asportati dai pazienti sottoposti a operazioni, recenti sperimentazioni sono ora in corso, con il prototipo sviluppato dalla Nucleomed, all'Ieo di Milano, dove sono studiate nel dettaglio le potenzialità della tecnica sia sui tumori neuro-endocrini del tratto gastro-intestinale che sui carcinomi prostatici, e l’ospedale ‘Molinette della Città della Salute di Torino’, nel caso di tumori prostatici.