Il ritorno della polio: abbiamo sbagliato strategia vaccinale?
- Carlotta Jarach Micaela
- Uniflash
Nel mese di settembre del 2022 [1] la governatrice dello Stato di New York, Kathy Hochul, dichiarava lo stato di emergenza per la poliomielite: la punta dell’iceberg di un’importante emergenza di sanità pubblica, riguardo una malattia che di fatto rappresenta ancora una minaccia per tutti. Lo dimostrano, oltre agli Stati Uniti, anche i casi di Londra [2] e Gerusalemme [3] e di molti altri Paesi dove la polio è (a torto) per tanti un ricordo del passato.
Sono passati 34 anni da quando fu lanciata la Global Polio Eradication Initiative (GPEI), l’iniziativa dell’Organizzazione mondiale della sanità che ai tempi si era prefissata l’ambizioso obiettivo di eradicare la polio entro il 2000. “La strategia scelta fu quella di bloccare la circolazione dei poliovirus selvatici, seguendo l'esempio vincente dell'eradicazione del vaiolo. Il compito, tuttavia, si è rivelato molto più impegnativo di quanto non lo fosse stato per il vaiolo, poiché nel caso della polio per ogni caso paralitico si verificano centinaia di infezioni asintomatiche, il che complica notevolmente la sorveglianza critica” scrivono i ricercatori Konstantin Chumakov, Christian Brechot, Robert Gallo, e Stanley Plotkin in un interessante perspective article recentemente pubblicato sul New England Journal of Medicine (NEMJ) [4].
Una storia che parte da lontano: i vaccini antipolio di Salk e Sabin
La ricerca di vaccini utili a combattere la malattia della poliomielite inizia negli anni ’20 del secolo scorso, ma è negli anni ’50 che viene coronata dall’introduzione di due vaccini. Il primo è del 1955, ed è il vaccino inattivato di Salk (IPV). Questo, usato ancora oggi in Italia all’interno del vaccino esavalente, garantisce immunità umorale, tuttavia, non garantisce protezione a livello di mucosa intestinale (il tessuto che è normalmente infettato dal virus della polio). Questo vaccino di fatto permette di essere individualmente protetti dagli esiti più gravi della malattia come la paralisi, ma allo stesso tempo non comporta un’immunità dal contagio da parte del virus, che quindi resta in grado di circolare.
Il secondo vaccino utile per difenderci dalla polio, messo a punto nel 1959, è il vaccino orale a virus attenuato di Sabin (OPV) che, a differenza del precedente, stimola sia l’immunità umorale che mucosale, contribuendo così a proteggere anche dal contagio e quindi a costituire l’immunità di comunità, bloccando la circolazione del virus.
Siamo mai stati vicino all’eradicazione?
“Ci stiamo avvicinando alla fine di una lunga maratona che ha visto il coinvolgimento della comunità scientifica, dei leader di diversi Paesi del mondo, della stessa cittadinanza, tutti impegnati a raggiungere un unico obiettivo: eliminare quanto più possibile i tre ceppi di virus della polio. Nelle condizioni attuali, però, raggiungere l’eradicazione, e in tempi brevi, mi sento di dire che non è così scontato” commenta Agnese Collino, biologa, divulgatrice e supervisore scientifico di Fondazione Umberto Veronesi, autrice del libro La malattia da 10 centesimi. Storia della polio e di come ha cambiato la nostra società per Codice edizioni.
“L’OPV ha avuto notevoli vantaggi rispetto all’IPV, in quanto anche più economico e di più facile somministrazione non richiedendo siringhe né personale specializzato. Sarebbe stato l’unico vaccino in grado di portarci vicino all’eradicazione del virus. Per questo all’inizio ha soppiantato il vaccino IPV in quasi tutti i Paesi. Qual è però il problema di questo vaccino? Essendo a virus “vivo”, anche se in maniera limitata comunque si replica per un breve periodo all’interno dell’intestino della persona vaccinata. Se, sfortuna vuole”, continua Collino, “nelle poche replicazioni che questo virus compie, accumula mutazioni che lo riportano all’aggressività originaria, potremmo ritornare ad avere un virus che è aggressivo come la poliomielite in natura (o “selvaggia”). Si tratta di un evento collaterale molto raro (circa un caso ogni 4 o 5 milioni di dosi somministrate), ma ovviamente ciò comporta una rivalutazione del bilancio rischi benefici nei Paesi in cui abbiamo già eliminato la poliomielite”.
Ed è quello che infatti accade nella maggior parte dei Paesi, dove il vaccino utilizzato è il Salk, mentre gli unici Paesi ad aver ancora la polio endemica (Afganistan e Pakistan) continuano a utilizzare il vaccino OPV per tentare di eliminare quanto più possibile il virus selvaggio. “Il problema” sottolinea Agnese Collino, “è che ovviamente nei Paesi che usano OPV e che non raggiungono coperture sufficienti si possono generare veri e propri focolai di poliovirus vaccinale, che possono poi spostarsi in altri Paesi. Quindi siamo nella situazione paradossale in cui bisogna eliminare un virus selvaggio con un vaccino, che a sua volta può diffondere una versione dello stesso virus nell’ambiente (circulating vaccine-derived poliovirus, cVDPV)”.
Politiche di immunizzazione a lungo termine
Nell'articolo pubblicato dal NEJM, gli autori sottolineano come l’obiettivo debba passare dall’eradicazione dei virus della polio (che si sta dimostrando un traguardo difficile da tagliare) alla necessità di sviluppare nuove politiche di immunizzazione a lungo termine, che proteggano i vaccinati dalla malattia paralitica e che riducano al minimo la circolazione silente dei poliovirus.
Il piano attuale, scrivono, prevede che 3 anni dopo l’ultimo caso di polio selvaggia avvenga il ritiro dell'OPV per poi continuare le vaccinazioni solo con l'IPV; “la decisione di ritirare l'OPV non dovrebbe essere presa sulla base della percezione dell'assenza di circolazione del poliovirus” sottolineano Chumakov e colleghi, “ma piuttosto sulla base della disponibilità di un'ampia offerta di IPV e della prontezza dell'infrastruttura di distribuzione del vaccino”. Il piano prevede inoltre che anche l’IPV, dopo 10 anni, possa essere ridiscusso per valutare la possibilità che diventi opzionale.
“Trovo che ultimamente nel dibattito medico e pubblico si parli poco di un aspetto fondamentale” commenta Collino, “ovvero che è molto difficile essere certi di raggiungere l’eradicazione della polio, soprattutto nel breve termine, se la gran parte del mondo vaccina con l’IPV: al netto di scrupolosi campionamenti delle acque reflue (purtroppo non effettuati ovunque), non possiamo sapere con millimetrica certezza in quali Paesi la polio stia circolando, sotto traccia a livello asintomatico, anche in virtù della capacità dell’IPV di prevenire gli unici sintomi distintivi della malattia”.
Rinunciare o puntare sui nuovi vaccini?
Nell’articolo del NEMJ, secondo gli autori sono due le grandi limitazioni dell’attuale strategia che punta a eradicare la polio: la prima, ponendo un orizzonte temporale alla vaccinazione si scoraggiano investimenti per la ricerca di un vaccino migliore. La seconda è il messaggio che passa, soprattutto ai non addetti ai lavori, che qualora non si registri più una circolazione “evidente” le vaccinazioni non servirebbero più, giustificando una maggiore esitazione.
“Io sono più ottimista rispetto all’obiettivo dell’eradicazione” commenta Collino. “Gli stessi autori citano la messa a punto di una nuova versione del vaccino Sabin per il ceppo 2 del virus della polio (nOPV2) modificato per avere più mutazioni al suo interno. La presenza di più mutazioni in questo virus attenuato è ciò che abbassa la probabilità che il virus vaccinale possa retrovertire, cioè che riesca a riacquisire aggressività replicandosi nella mucosa. In due o tre anni potremo avere un novel OPV che comprenda tutti e tre i ceppi; penso sia necessario discutere collettivamente la possibilità che questi nuovi vaccini, che presenterebbero i vantaggi del vaccino orale senza il rischio di eventi gravi come la polio vaccinale, rendano l’eradicazione della polio un orizzonte più concreto”.
“Concordo con gli autori quando dicono che va rivalutata la strategia rispetto a quello che era l’obiettivo iniziale della GPEI”, aggiunge Collino, “ma la prospettiva di dover accantonare l’eradicazione per vaccinare per sempre contro la polio, dopo tutti gli sforzi fatti in 70 anni di storia, penso sia da un lato triste (per quanto non peregrina) e dall’altra non ancora obbligata, alla luce dei nuovi strumenti vaccinali: personalmente valuterei quale potrebbe essere il ruolo globale degli nOPV: non più solo uno strumento di emergenza da utilizzare solo nelle zone a rischio dove emergono dei focolai di polio vaccinale, ma come possibile vaccino alternativo all’IPV. Ovviamente con un passaggio graduale da un vaccino all’altro” conclude Collino.
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