Ictus nei ricoverati, 5 suggerimenti per gestirlo meglio
- Elena Riboldi — Agenzia Zoe
- Notizie dalla letteratura
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- La valutazione e l’inizio del trattamento dei pazienti che hanno un ictus mentre sono ricoverati in ospedale sono più tardivi di quelli riservati a chi si presenta in pronto soccorso.
- L’American Heart Association (AHA) ha proposto di migliorare la gestione dell’ictus in ambiente ospedaliero puntando su cinque punti: formazione, team dedicati, standardizzazione del percorso, rimozione di ostacoli e monitoraggio della performance.
Anche se appare paradossale, chi ha un ictus mentre si trova ricoverato in ospedale rischia pericolosissimi ritardi nella diagnosi e nelle cure rispetto a chi per la stessa patologia si presenta al pronto soccorso. Al fine di mitigare la morbilità e la mortalità associate a questo problema, l’American Heart Association (AHA) ha pubblicato sulla rivista Stroke un comunicato in cui si incoraggiano gli ospedali a creare dei piani specifici per la gestione dei pazienti che vanno incontro a un ictus mentre sono in regime di degenza. L’AHA offre suggerimenti pratici, condensati in cinque punti, che potrebbero in futuro entrare a far parte delle linee guida nazionali e internazionali.
I cinque punti fondamentali per ottimizzare la cura dell’ictus in ospedale sono:
- Fornire formazione a tutto lo staff ospedaliero, includendo nella formazione le istruzioni su come attivare un allarme ictus per un degente
- Creare team di risposta rapida con formazione specifica sull’ictus e accesso immediato alle competenze neurologiche
- Standardizzare la valutazione dei pazienti con potenziale ictus in regime di ricovero mediante esame fisico e imaging
- Rimuovere potenziali barriere al trattamento, tra cui il trasferimento al reparto di cure avanzate
- Istituire un programma di sorveglianza dedicato che fornisca un feedback sulla performance basato sui dati e che guidi gli sforzi per migliorare la qualità del servizio.
L’ictus in un soggetto che si trova già in ospedale non è un evento raro: si stima che negli Stati Uniti siano tra i 35.000 e i 75.000 i pazienti interessati, in genere pazienti che si sono sottoposti di recente a procedure o indagini diagnostiche invasive. Tra il 2 e il 4% degli ictus diagnosticati rientra in questa casistica. “La valutazione di un paziente che è stato di recente sottoposto a una procedura (con o senza anestesia) mette a dura prova il medico – sottolineano gli esperti dell’AHA – Ciò include individuarlo tempestivamente e stabilire se un deficit neurologico rappresenta un ictus di nuova insorgenza o è semplicemente la conseguenza delle medicazioni peri-procedurali”.
Il team di risposta dovrebbe includere un neurologo (o un altro medico), un infermiere con formazione sull’ictus e sulla valutazione neurologica, un farmacista, un portantino ed eventualmente un fisioterapista respiratorio, un flebotomista e un aiuto-infermiere. “Si può usare anche la telemedicina per valutare i pazienti con sospetto ictus. Questo potrebbe essere particolarmente utile per gli ospedali in cui le competenze neurologiche non sono immediatamente disponibili, per colmare le lacune nella competenza dell’operatore, guidare imaging e trattamento e raccomandare presto il trasferimento se ritenuto necessario”. L’uso di protocolli scritti può agevolare il lavoro del team e assicurare l’uniformità nella gestione di casi.
Le tempistiche ottimali a cui si deve puntare sono:
- entro 5’ dall’insorgenza dei sintomi, attivazione dell’allarme ictus
- entro 10’ attivazione del team di risposta rapida
- entro 25’ inizio dell’imaging cerebrale
- entro 45’ interpretazione degli esami radiologici
- entro 60’ inizio del trattamento.
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