I test genetici fanno bene al cuore?
- Megan Brooks
- Uniflash
L’American Heart Association (AHA) ha pubblicato di recente un dopcumento contenente le indicazioni su una corretta gestione dei risultati dei test genetici dei pazienti. In particolare, come evidenza il titolo “Interpreting Incidentally Identified Variants in Genes Associated With Heritable CardiovascularDisease”, si fa riferimento alle varianti identificate casualmente e legate a malattie cardiovascolari (MCV). Questi risultati non attesi possono fornire indicazioni utili al medico e al paziente ma, proprio perché inaspettati, devono essere gestiti con cura per evitare inutili e infondate preoccupazioni e per essere sfruttati al meglio.
Perché succede?
Da circa 30 anni i test genetici vengono utilizzati nella pratica quotidiana per l‘identificazione di malattie monogeniche cardiovascolari. Nello stesso arco di tempo queste analisi, assieme al sequenziamento del DNA, sono diventate sempre più economiche, accessibili e veloci anche per la diagnosi di molte altre malattie. Quindi può succedere che dalle analisi prescritte per risolvere un certo sospetto clinico possano essere estrapolate anche altre informazioni, quali, per l’appunto, una possibile predisposizione per malattie cardiovascolari.
“Lo sviluppo e l’uso dei test genetici è cresciuto esponenzialmente negli ultimi vent’anni, parallelamente alla fruibilità e all’accessibilità del sequenziamento del DNA”. Lo afferma Andrew P. Landstrom, presidente della commissione che si è occupata della stesura della dichiarazione scientifica e professore all’Università di Medicina a Durham, North Carolina. Il sequenziamento degli esoni e del genoma oggi sono strumenti clinici di prima linea per la diagnosi di numerose malattie, comprese le cardiomiopatie.
Ma una predisposizione o un’associazione alle cardiomiopatie non è necessariamente sinonimo di malattia. “Se le varianti identificate casualmente vengono interpretate male, si rischia di incorrere in una diagnosi e un trattamento inappropriato o di far preoccupare inutilmente il paziente con malattie che non ha o, peggio, di fornirgli cure che potrebbero comprometterne la salute” continua Landstrom.
Cosa fare
Quando emerge dalle analisi una variante identificata casualmente, il medico può seguire diverse strategie. Come suggeriscono gli autori:
- Il medico dovrebbe trasmettere le informazioni ai pazienti solo in caso di varianti genetiche note per essere associate a MCV;
- risultati che hanno un profilo dubbio o di non sicura associazione a cardiomiopatie non dovrebbero essere comuniate al paziente;
- nel caso in cui sia nota una possibile associazione fra la variante genetica e il rischio di sviluppare MCV o una variante che aumenta tale rischio, servono accertamenti. In particolare è consigliata un’ulteriore valutazione medica e della familiarità, preferibilmente con un team multidisciplinare di esperti al fine di capire se il paziente presenta già una sintomatologia o se ci sono campanelli di allarme nella storia familiare;
- in presenza di positività a una variante genetica, è utile rivalutare periodicamente le condizioni del paziente, considerato che alcune malattie possono evolversi nel tempo;
- la valutazione medica e genetica devono fare da guida per i successivi passaggi, che possono includere la non significatività dei risultati genetici fino a interventi medici mirati alla risoluzione del problema. In questa fase si includono anche test genetici mirati, valutazioni cliniche (ecocardiogramma, analisi del sangue ecc) e uno screening familiare.
Come utilizzare questi test
Alla stesura dello statement hanno collaborato numerose associazioni di specialisti, che hanno fornito un punto sullo stato dell’arte e anche sulle aree che necessitano ancora di essere esplorate. Inoltre, non vengono fornite raccomandazioni sui trattamenti, ma più un sistema di lavoro e un punto sullo sviluppo delle linee guida.
“La lista di varianti identificate casualmente associate o correlate a malattie cardiovascolari è in continua evoluzione. Il testo mira a fornire ai medici indicazioni e linee di comportamento generali così che possano capire come muoversi al meglio. Questo consente di determinare il rischio individuale e familiare che una variante può o non può portare, e di offrire ai pazienti le migliori cure possibili” conclude Landstrom.
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