HPV, sesso orale e cancro: come parlarne con le pazienti?

  • Elena Riboldi
  • Uniflash
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Affrontare il tema della trasmissione orogenitale del papillomavirus umano (HPV) con una donna con un’infezione cervicovaginale persistente da HPV è più problematico di quanto sembri. Non farlo è però un’occasione persa per la prevenzione dei tumori dell’orofaringe. Nessuna autorità scientifica ha emanato direttive chiare su quello che il medico dovrebbe suggerire, così tocca al singolo professionista fare i conti anche con le implicazioni etiche del counseling. Un gruppo di clinici italiani descrive in un articolo molto esaustivo quello che si sa sulla trasmissione orogenitale dell’HPV e propone numerosi spunti di riflessione sull’argomento.

“Nei paesi ad alto reddito i carcinomi a cellule squamose dell’orofaringe (OPSCC) sono ora il tipo di cancro legato all’HPV più frequente, avendo scavalcato il cancro della cervice – scrivono gli autori dell’articolo, pubblicato sulla rivista BMC Women's Health, che aggiungono – La trasmissione orogenitale dell’HPV ha oggi sorpassato il fumo e il consumo elevato di alcol come principale fattore di rischio per i tumori dell’orofaringe”.

La trasmissione orofaringea dell’HPV avviene principalmente con il contatto tra la bocca e la regione anogenitale e agisce come promotore dell’OPSCC sia negli uomini che nelle donne. “La ragione per cui il rischio di infezione orale persistente da HPV sia molto più alto negli uomini che nelle donne rimane inspiegabile – scrivono – dato che la prevalenza dell’infezione genitale da HPV è simile nei due sessi”.

La diagnosi precoce dell’OPSCC correlato all’HPV è resa complicata dal lunghissimo periodo di latenza tra l’infezione orale e l’insorgenza del tumore e dal fatto che, a differenza del tumore cervicale, non è ancora stata caratterizzata la lesione pre-cancerosa. Molti dei tumori si sviluppano in corrispondenza delle cripte tonsillari, restando quindi nascosti all’ispezione visiva e rendendo poco fattibile uno screening citologico con tampone. D’altra parte, un esame molecolare sul lavaggio orofaringeo rivelerebbe un’infezione attiva, ma non necessariamente la presenza di una lesione pre-maligna.

“Fintanto che non saranno risolte le incertezze sullo screening e sulla diagnosi precoce, la prevenzione primaria resta l’unico mezzo per contrastare efficacemente l’incidenza in aumento dell’OPSCC” rimarcano gli autori dell’articolo. Il vaccino nonavalente appare proteggere dai sottotipi di HPV associati al 90% dei tumori dell’orofaringe e all’80% dei tumori della laringe. Il tasso di vaccinazione è però insoddisfacente, soprattutto tra i ragazzi, perché resta diffusa la convinzione errata che serva solo a prevenire il tumore cervicale.

“Ipoteticamente si potrebbe raccomandare misure preventive, suggerire cambiamenti nei comportamenti sessuali e considerare di informare i partner successivi. Tuttavia, qualunque modifica nel counselling offerto alle donne con un test HPV positivo non andrebbe basata solo sull’evidenza, ma anche sulla reale possibilità che abbia un effetto benefico sull’incidenza dei tumori dell’orofaringe associati all’HPV e sui potenziali danni – affermano gli autori – Il rischio è, da una parte, provocare ansie non necessarie e fornire istruzioni non efficaci, dall’altra, perdere l’opportunità per limitare la diffusione delle infezioni orali da HPV”.

Gli autori auspicano perciò che le principali autorità sanitarie e le società scientifiche di ginecologia rendano disponibili delle raccomandazioni per guidare il medico nel counseling riguardo al sesso orale diretto a una donna il cui test HPV ha rivelato la presenza di un ceppo ad alto rischio. “Anche comunicare le incertezze è importante, ma un conto è comunicare “incertezze ufficiali”, un altro è comunicare incertezze personali”.