A caccia di dati nelle reti fognarie

  • Roberta Villa
  • Uniflash
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Nelle acque reflue si nasconde un tesoro di informazioni. Dalla loro analisi si possono ricavare dati sulla salute di chi abita nella zona servita dall’impianto, sui rischi che corre, sulle abitudini che ha, per esempio in termini di consumo di farmaci o sostanze da abuso. Ma si può anche monitorare la presenza e la diffusione di nuove minacce infettive per anticipare la possibilità di risposte.

L’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano, all’avanguardia in questo campo, ha scoperto per esempio che i livelli di salbutamolo nelle fogne del capoluogo lombardo vanno di pari passo con i livelli di PM10 e PM2,5, a riprova del rapporto tra qualità dell’aria e asma. Lo stesso istituto aveva condotto anni fa le prime analisi per la ricerca di metaboliti da sostanze da abuso nelle acque meneghine, trovando significative quantità di cocaina. Oggi la rete SCORE, coordinata dall’European Monitoring Centre for Drugs and Drug Addiction (EMCDDA), ha esteso il lavoro a un centinaio di città di 21 paesi europei, studiando quali sostanze tra cocaina, cannabis, anfetamine e metanfetamine sono più usate nelle diverse città e come cambiano nel tempo le abitudini, indirizzando così meglio il tipo di interventi e potendone poi misurare l’efficacia. 

 

A caccia di virus

Ma è nel campo delle malattie infettive che questo tipo di approccio sta vivendo un momento di particolare sviluppo, dopo che per anni è stato riservato quasi esclusivamente alla ricerca di poliovirus e altri enterovirus responsabili di paralisi flaccide, come raccomandato dall’Organizzazione mondiale della sanità. Il riscontro dell’agente infettivo nelle acque reflue, come accaduto qualche anno fa in Israele, permette infatti di mettere in atto prontamente misure che permettano all’epidemia di rimanere “silente”, cioè senza casi sintomatici: in questo caso, una campagna di vaccinazione e di richiami per i bambini della zona. 

Sono finalizzate a un’ottimizzazione delle campagne vaccinali anche le ricerche in corso in Bangladesh e in Nepal, in questo caso per prevenire le epidemie di febbre tifoide. “Il tifo ogni anno colpisce circa 14 milioni di persone in tutto il mondo, causando febbre e diarrea, e uccide più di 135.000 persone” ricorda su Nature la reporter della rivista dall’Asia, Smriti Mallapaty. “Può essere trattata con antibiotici, ma la rapida comparsa di ceppi resistenti ha portato l'Organizzazione mondiale della sanità a raccomandare nel 2018 che i paesi con un carico elevato introducano vaccini”.

In questi paesi occorre fare i conti anche con la scarsità di risorse economiche, strumentali e umane. Prima di partire con una campagna vaccinale, occorre capire dove sia più urgente intervenire, ma gli stessi limiti rendono difficile adottare tecniche sofisticate. Invece che provare a isolare con la PCR Salmonella typhi dalle acque dei fiumi e degli scarichi, si cerca un virus che è in grado di sopravvivere solo infettando il batterio stesso, uno specifico batteriofago che diventa quindi indicatore della contaminazione batterica. Il metodo, che già si utilizza per Escherichia coli e altri batteri di cui si cerca la presenza negli scarichi, è molto semplice, non richiede PCR né strumentazioni particolari: se l’acqua è contaminata, aggiungendola a una coltura batterica il virus batteriofago ucciderà i batteri presenti sulla piastra, creando chiazze più chiare. Confermata così la presenza nelle acque del virus, si potrà indirettamente dedurre anche quella del batterio senza il quale il virus non può replicarsi.

“L’esperienza della pandemia ha segnato una svolta in questo tipo di ricerche, dimostrando che possono essere utili anche per virus prevalentemente respiratori, purché eliminati, almeno parzialmente, anche attraverso fluidi corporei e con le feci” spiega Luca LucentiniDirettore Reparto di qualità dell'acqua e salute al Dipartimento di Ambiente e Salute dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS). “La quantità di virus SARS-CoV-2 nei campioni prelevati dai depuratori è infatti un indicatore fedele della circolazione virale, perché consente di individuare anche la quota di casi asintomatica o che non si sottopone a test: il picco di campioni positivi precede l’aumento dell’incidenza, dei ricoveri e dei decessi e consente così di conoscere in anticipo l’arrivo di una nuova ondata”. 

Durante i primi mesi della pandemia, in Italia, l’Istituto superiore di sanità ha realizzato un sistema di sorveglianza delle acque reflue per SARS-CoV-2 che ha coinvolto quasi tutto il paese nel cosiddetto Progetto SARI (Sorveglianza Ambientale Reflue in Italia), che ha impegnato una quarantina di laboratori a monitorare 167 impianti di depurazione con prelievi eseguiti una o due volte la settimana. Da qui è stato ricavato un indicatore Rt-wastewater sull’andamento dei contagi. I dati della Lombardia sono stati anche pubblicati su JAMA, in un articolo che, oltre agli altri aspetti, conferma come la campagna vaccinale abbia abbattuto il numero di casi gravi, ma non la circolazione del virus. 

Oltre al dato quantitativo sulla presenza di SARS-CoV-2 nelle acque reflue, l’Istituto superiore di sanità conduce sugli stessi campioni anche una ricerca delle diverse varianti tramite flash survey mensili, che hanno mostrato da ottobre 2021 l’arrivo di delta, il subentrare di omicron e poi via via di tutte le sue sottovarianti e ricombinanti fino a oggi. “Abbiamo a tal proposito disegnato noi stessi dei test specifici di PCR che lavorano sulla regione del genoma interessata dalle mutazioni” spiega Pamela Mancini, ricercatrice del Dipartimento Ambiente e Salute dell’Iss, “e su questa facciamo un sequenziamento di terza generazione che ci permette di avere un dato più completo”. 

 

Le minacce per la salute pubblica

L’importanza di questo lavoro portato avanti, come in Italia, in molti paesi del mondo non è sfuggita alla Commissione europea, che nell’ aggiornamento della Direttiva europea sulle acque reflue urbane ha invitato le autorità sanitarie a continuare le attività di monitoraggio, estendendole se possibile ad altri virus, primo fra tutti quello dell’influenza. 

La Direttiva allarga poi la prospettiva ad altre minacce per la salute pubblica, come la presenza di germi resistenti agli antibiotici. Anche su questi in Italia ci sono già da anni esperienze interessanti: “In Lombardia - grazie al contributo dell’Istituto Zooprofilattico - abbiamo messo a punto un protocollo di studio per il monitoraggio di Escherichia coli resistenti che ha già riscontrato la presenza di batteri produttori di carbapenemasi e di beta-lattamasi a spettro esteso (ESBL)” spiega Danilo Cereda, dirigente dell’Unità organizzativa Prevenzione della regione, che nel corso dello stesso evento ha portato anche l’esempio di come questa tecnica può essere applicata allo studio di minacce infettive emergenti. “Nella primavera 2022, per esempio, tutto il mondo, a partire dal Regno Unito, si interrogava sulla possibile causa di un improvviso aumento di epatiti di origine sconosciuta nei bambini, e vari gruppi ipotizzavano un ruolo degli adenovirus. Li abbiamo cercati nelle acque lombarde tramite l’Università degli Studi di Milano e in effetti abbiamo trovato un loro aumento in corrispondenza dei casi registrati anche nella nostra regione”.  

Fondamentale nell’ottica di una più attenta sorveglianza delle minacce emergenti potrebbe anche essere il ruolo delle acque reflue provenienti da aerei e aeroporti. L’estate scorsa, sempre l’Istituto superiore di sanità ha individuato l’ingresso di mpox in Italia dall’analisi delle acque reflue dall’aeroporto di Fiumicino e ora su Lancet Global Health è stata proposta la creazione di una rete di sorveglianza internazionale che, tramite la collaborazione tra compagnie aeree e autorità sanitarie, possa monitorare la comparsa e la diffusione di nuove varianti di virus esistenti o l’emergenza di nuove minacce.