Esame del PSA, gli esperti criticano la facilità con cui si può eseguire
- Elena Riboldi
- Uniflash
La “scelta informata” dovrebbe essere la premessa per garantire che l’esame diagnostico o l’intervento terapeutico a cui si sottopone sia ciò che è più vantaggioso per il paziente. Un gruppo di esperti denuncia come, nel caso dello screening per il tumore della prostata, questo non corrisponda al vero: nei Paesi in cui non esiste un programma organizzato e lo screening si basa sulla scelta informata vengono eseguiti troppi esami del PSA (Antigene Prostatico Specifico), specialmente tra coloro che hanno minori probabilità di trarne beneficio e che più facilmente ne vengono danneggiati.
Esame sì, esame no
Lo screening tramite misurazione dei livelli di PSA resta controverso perché ancora non si sa con certezza quale piatto della bilancia pesi di più: la riduzione della mortalità o la sovradiagnosi. Per questo motivo, nella maggior parte dei Paesi ad alto reddito non è stato attivato un programma nazionale di screening per il tumore della prostata, ma viene consentito di effettuare l’esame del PSA a chiunque lo desideri e che, almeno in linea teorica, ne abbia discusso con il proprio medico.
“Noi sosteniamo che le nazioni ad alto reddito dovrebbero implementare un approccio globale allo screening del PSA basato sul rischio, un approccio disegnato per ridurre la sovradiagnosi e il sovratrattamento, oppure scoraggiare il test del PSA attraverso una chiara raccomandazione contro lo screening, unita a politiche che rendano difficile ottenere il test senza indicazioni urologiche definite”. È ciò che scrivono sul British Medical Journal dieci esperti, tra i quali figura l’italiano Francesco Montorsi, Primario dell’Unità di Urologia all’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano e professore ordinario di Urologia all’Università Vita-Salute San Raffaele.
L’articolo, intitolato “Le politiche attuali sulla diagnosi precoce del tumore della prostata generano sovradiagnosi e disuguaglianza con minimo beneficio”, mette in luce un ulteriore elemento a sfavore dello screening non sistematico: si alimenta la disuguaglianza sociale. La percentuale di uomini che si sottopongono all’esame del PSA è infatti più elevata tra i soggetti più benestanti e con un livello di istruzione più alto.
Troppi e troppo anziani
Dove lo screening si basa sulla scelta informata si osserva una distribuzione inappropriata per fascia di età. Nel Regno Unito, gli uomini di 80-89 anni hanno il doppio di probabilità di sottoporsi al test del PSA rispetto ai cinquantenni. In Francia, quasi un uomo su tre, superati i 40 anni, si sottopone al test ogni anno, con le percentuali più alte registrate tra i soggetti con più di 70 anni. Anche in Italia e Germania sono moltissimi gli uomini che effettuano il test e più di uno su due superati i 70 anni lo fa con cadenza annuale; in Italia, circa il 75% degli uomini over 50 si è sottoposto al test del PSA almeno una volta. Il record spetta comunque all’Irlanda: in un Paese in cui la popolazione eleggibile per età è pari a 600.000 soggetti, ogni anno si effettuano 500.000 test del PSA!
“Un problema fondamentale è che di routine (e nonostante le linee guida vadano in senso opposto) la maggior parte degli uomini con un risultato del test anomalo viene sottoposto a biopsia, anche se solo una minoranza di loro avrà un carcinoma prostatico aggressivo – puntualizzano gli autori dell’analisi – Inoltre, la maggior parte degli uomini a cui dopo la biopsia è diagnosticato un tumore viene sottoposto a chirurgia o radioterapia (con o senza terapia di deprivazione androgenica) sebbene abbia un tumore a basso rischio che poco probabilmente causerebbe morbilità o mortalità”. Il sovratrattamento al contrario espone questi pazienti a numerosi effetti collaterali, come fatigue, perdita della libido e disfunzione erettile, urinaria e intestinale.
La proposta
Un programma per la diagnosi precoce che gestisca in modo adeguato non solo lo screening, ma anche biopsie e trattamenti potrebbe ridurre i danni da sovradiagnosi e sovratrattamento. “Questo programma dovrebbe limitare lo screening agli uomini (e a coloro che non si identificano come maschi ma che hanno una prostata) tra i 50 e i 70 anni, definendo gli intervalli di screening in base ai livelli di PSA, con uno stop per chi ha valori bassi – è quanto suggeriscono gli autori dell’articolo – Dovrebbe offrire la biopsia solo a chi è identificato come ad alto rischio di malattia aggressiva dopo un esame secondario (es. risonanza magnetica o biomarcatori) e dovrebbe limitare il trattamento a coloro che hanno tumori con elevato grado Gleason”.
Secondo gli esperti l’unica alternativa ragionevole al programma di screening organizzato sarebbe limitare l’accesso al test del PSA a chi ha sintomi urologici o a chi è individuato come a rischio (es. portatori di mutazioni BRCA). Il fatto che non sia rimborsabile non basta come deterrente perché il test è poco costoso, occorrerebbe perciò introdurre l’obbligo di prescrizione da parte dello specialista.
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