Emoglobinopatie e rischio cancro
- Elena Riboldi
- Uniflash
I dati raccolti negli ultimi cinquanta anni da otto centri italiani specializzati in emoglobinopatie suggeriscono che in chi soffre di talassemia o altre forme di emoglobinopatie l’incidenza dei tumori non è più alta che nel resto della popolazione, ad eccezione del tumore del fegato, la cui incidenza è però rimasta stabile nel tempo. Lo studio, pubblicato sulla rivista Cancer, offre una descrizione dettagliata e aggiornata dell’incidenza dei tumori e dei fattori di rischio in quattro diversi tipi di emoglobinopatia.
Con l’aumento della sopravvivenza conquistato nelle ultime decadi, sono emerse nuove complicanze delle talassemie, incluse le malattie oncologiche. I fattori che favoriscono l’insorgenza dei tumori, in particolare del carcinoma epatocellulare (HCC), nei pazienti talassemici, includono il danno ossidativo secondario all’accumulo di ferro, anomalie immunologiche, infezioni virali, uso di idrossiurea e stimolazione del midollo osseo in risposta all’anemia cronica. Gli autori dello studio si sono proposti di aggiornare i dati relativi all’incidenza dell’HCC e di esplorare l’incidenza degli altri tipi di tumore nei pazienti con talassemia e altre forme di emoglobinopatia nel periodo 1970-2021.
L’analisi ha riguardato 4.631 pazienti: il 55,6% con β-talassemia trasfusione-dipendente (TDT), il 17,7% con talassemia non trasfusione dipendente (NTDT), il 17,6% con anemia falciforme (SCD) e l’8,3% con malattia da emoglobina H. Nel periodo in esame sono stati diagnosticati 197 tumori. Globalmente, il tasso di incidenza di cancro corretto per età era 442 casi per 100.000 anni-persona (95%CI 340-700 casi per 100.000 anni-persona), non significativamente diverso da quello della popolazione generale. Il tasso di incidenza dell’HCC era però nove volte più basso nella popolazione generale che nei pazienti con emoglobinopatie (22 contro 190 casi per 100.000 anni-persona). L’incidenza più alta era registrata nei pazienti con TDT (445 casi per 100.000 anni-persona). La probabilità di andare incontro a HCC era significativamente più alta per i pazienti con TD, sesso maschile e infezione da HCV.
I dati raccolti confermano che l’HCC è possibile in pazienti che hanno raggiunto una risposta virologica sostenuta, anche se questa ha un effetto protettivo, in particolare se ottenuta con gli antivirali ad azione diretta. La sopravvivenza è andata progressivamente aumentando ed è pari al 39% a 5 anni dalla diagnosi, superiore a quella registrata nella popolazione generale. Ciò potrebbe dipendere da una diagnosi precoce, favorita da un’aumentata consapevolezza del rischio di HCC e dall’applicazione delle linee guida che raccomandano l’esecuzione di un’ecografia epatica due volte l’anno nei pazienti con cirrosi, HCV e/o HBV, concentrazione di ferro epatico (LIC) superiore a una certa soglia. Gli autori raccomandano l’estensione di questa raccomandazione anche ai pazienti che non hanno una storia di HCV cronico.
Anche se, similmente a quanto osservato nella popolazione generale, i casi di cancro sono aumentati dopo il 2000 l’incidenza dell’HCC nei pazienti con emoglobinopatie è rimasta stabile. Gli autori dell’analisi ipotizzano che ciò possa dipendere in parte dai progressi nella terapia chelante e nel trattamento dell’infezione da virus dell’epatite C.
“I nostri dato suggeriscono che il ferro possa non avere un ruolo sostanziale nella genesi di tumori diversi dall’HCC – aggiungono, presentando le conclusioni dello studio – Al presente tutti i tumori, a parte l’HCC, non sono più frequenti nei pazienti con emoglobinopatie che nella popolazione generale e insorgono in pazienti che mostrano un picco di ferritina sierica significativamente più basso e complicanze da accumulo di ferro limitate rispetto ai pazienti con HCC”.
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