Dosaggio della vitamina D, meglio non richiederlo senza indicazione

  • Paolo Spriano
  • Linee guida in pratica
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La vitamina D ha una varietà di azioni essenziali sull’omeostasi del calcio, sul metabolismo osseo e su altre funzioni di regolazione cellulare. La carenza di vitamina D si riferisce a livelli sierici di idrossivitamina D sierica totale (25[OH]D) inadeguati a supportare i bisogni corporei. Il dosaggio di 25(OH)D totale sierico è attualmente considerato il miglior indicatore dello stato della vitamina D (1). Tuttavia, non vi è consenso riguardo al livello sierico di 25(OH)D ottimale o carenziale.

L'aumento della concentrazione sierica di 25(OH)D rispetto all'intervallo normale elevato (50–125 nmol/lo 20–50 ng/ml) non genera benefici per la salute globale o malattie gravi o eventi medici come cancro, eventi cardiovascolari, distrofia miotonica di tipo 2, cadute o fratture (2). Attualmente l'integrazione in individui adulti già ricchi di vitamina D non è giustificata, senza voler contraddire il nesso causale tra grave carenza di vitamina D e rachitismo, o la necessità di correggere una grave carenza a qualsiasi età (2).

Per i medici di medicina generale (MMG) ricevere richieste di esami da parte dei pazienti è un evento comune e si verifica solitamente nell'ambito di visite per problematiche di prevenzione o di preoccupazioni sollevate dai pazienti. La richiesta di un test del dosaggio di vitamina D da parte del paziente può essere indotto dall’attenzione dei media verso studi che correlano la mancanza di vitamina D a vari problemi di salute o alla pratica di altri medici che ne promuovono l’uso (3).

 

Carenza di vitamina D e screening in adulti sani

La logica dello screening per la carenza di vitamina D tra gli adulti asintomatici sarebbe quella di identificare bassi livelli sierici di vitamina D che espongono le persone a rischio di carenza e offrire un trattamento prima che si verifichino potenziali esiti clinici avversi (cadute, fratture e altri esiti).

Diverse linee guida internazionali raccomandano di non eseguire test o screening di routine per la vitamina D in persone senza sintomi clinici o rischio di carenza (4, 5), basandosi sull’evidenza che negli adulti sani bassi livelli di vitamina D non sono associati ad alcuna condizione di malattia. Una revisione sistematica pubblicata dalla US Preventive Service Task Force degli Stati Uniti nel 2021 non ha identificato studi con risultati a supporto dello screening della vitamina D sul miglioramento dei risultati di salute o danni diretti (5).

 

Dosaggio della vitamina D: l’indicazione al test fa la differenza

In molti casi è più semplice accettare di prescrivere un test per determinare il livello della vitamina D in risposta alla richiesta del paziente; anche se la pratica è insidiosa per la sequenza di test non necessari conseguenti ad un risultato anomalo (6). 

In un gruppo di 574 soggetti, monitorizzati per 24 mesi dopo l’esecuzione di un test della vitamina D senza alcuna indicazione, sono stati registrati 4437 interventi tra esami di laboratorio, prescrizioni varie ed esami di imaging che hanno portato a 85 differenti percorsi clinico-diagnostici innescando processi a cascata, con una serie di consulti e indagini aggiuntive per lo più a basso valore (6). 

I costi indotti da test per la vitamina D più o meno appropriati sono elevati, con stime variabili di circa 17 milioni di sterline nel Regno Unito, 104,7 milioni di dollari in Australia, 30 milioni di dollari in Canada e 293 milioni di dollari negli Stati Uniti (7). Studi condotti nel Regno Unito, negli Stati Uniti, in Canada e in Australia suggeriscono che fino al 75% dei test sulla vitamina D potrebbero non essere necessari.

 

Motivi per limitare il dosaggio della Vitamina D

In uno scenario di cure primarie forse il motivo più importante per cui i test di routine della vitamina D spesso non sono necessari è che l’integrazione può essere iniziata indipendentemente dai livelli ematici (7).

Tuttavia, i MMG potrebbero temere che la limitazione dei test sui pazienti possa avere un impatto negativo nel rapporto professionale. Vi sono però esperienze in contesti di assistenza primaria in cui i pazienti sono soddisfatti se credono che il medico abbia ascoltato le loro preoccupazioni anche se non hanno prescritto il test richiesto. Spesso la condivisione delle informazioni consente ai pazienti e ai medici di raggiungere una migliore comprensione dei problemi di salute e raggiungere un accordo sugli obiettivi. 

Ovviamente non bisogna dimenticare le indicazioni comuni per le quali il dosaggio della vitamina D è appropriato che sono: rachitismo, osteomalacia, osteoporosi, iperparatiroidismo, sindromi da malassorbimento, farmaci che influenzano l’assorbimento o il metabolismo della vitamina D (antifungini, terapia antiretrovirale per l’HIV, anticonvulsivanti, ecc.), malattia renale cronica, ipofosfatemia e ipo/ipercalcemia, aumento isolato della fosfatasi alcalina.