Dopo un trauma cranico bisogna pensare al cuore
- Elena Riboldi
- Uniflash
“Il trauma cranico potrebbe essere un fattore di rischio cardiovascolare sottostimato per chi fa sport di contatto, per i militari e per la popolazione generale”: è questo l’allarme lanciato da un gruppo di esperti in un articolo appena pubblicato su Lancet Neurology. Nel testo, etichettato come “Personal view”, gli autori presentano diverse evidenze a supporto dell’esistenza di un’associazione tra trauma cranico (traumatic brain injury, TBI) e salute cardiovascolare. Auspicano che questa tematica riceva più attenzione, possibilmente con la creazione di programmi di screening ad hoc, per mitigare il rischio di conseguenze sul lungo periodo.
Il medico sia proattivo
“Diversi studi sulla popolazione generale, sui veterani e sui giocatori di football americano professionisti hanno investigato l’incidenza a lungo termine della malattia cardiovascolare e dei fattori di rischio cardiovascolari nei soggetti che hanno subito un TBI – raccontano gli autori – Questi studi suggeriscono un possibile ruolo del TBI nel rischio di sviluppare una patologia cardiovascolare cronica e fattori di rischio cardiovascolari in chi è andato incontro a uno o più TBI”.
Per quanto riguarda la popolazione generale, spesso gli studi includono persone con condizioni mediche preesistenti. Vi sono però alcune ricerche, anche se non molte, condotte su coorti senza comorbidità pregresse in cui è stato riscontrato un aumento di rischio dopo un trauma dovuto a una caduta o a un incidente. Sulla base di questi dati, gli autori dell’articolo richiamano l’importanza di stabilire il rischio cardiovascolare in chi riceve una diagnosi di TBI e di sottoporre a screening cardiovascolare i giovani con TBI.
“Considerando che questi disturbi compaiono soprattutto entro 3-5 anni da un singolo trauma cranico e che questi fattori si associano a un aumento della mortalità, chi fornisce assistenza medica dovrebbe essere proattivo nella sorveglianza e nel trattamento della malattia cardiovascolare nei soggetti che hanno subito un trauma cranico”, esortano. Nell valutazione bisogna tenere conto anche della professione dei pazienti che li può esporre più facilmente a traumi cranici (pensiamo per esempio a chi lavora in altezza).
Cosa resta da fare
Alcuni gruppi sono considerati particolarmente a rischio di TBI: i militari e gli sportivi. Negli studi dedicati specificatamente a questi individui è stato riscontrato un aumentato rischio di malattia cardiovascolare e di fattori di rischio cardiovascolare (es. ipertensione e diabete). Resta però il dubbio di quanto peso abbiano nel legame tra TBI e salute cardiovascolare alcuni fattori specifici, come la salute psichica, nel caso di chi è stato coinvolto in combattimenti, o le caratteristiche fisiche e lo stile di vita (durante e dopo la chiusura della carriera), nel caso degli atleti.
“Dopo un TBI , la malattia cardiovascolare potrebbe essere il risultato diretto di cambiamenti neurobiologici o riflettere la prosecuzione o l’esacerbazione di malattie preesistenti, specialmente negli anziani – suggerisce in un commentario Kristen Dams-O’Connor, direttrice del Brain Injury Research Center of Mount Sinai (New York) – La malattia cardiovascolare potrebbe anche emergere quando i cambiamenti cognitivi, fisici e comportamentali legati al trauma influenzano la capacità della persona di accedere alle cure mediche, aderire alle terapie o adottare comportamenti salutari, come fare attività fisica e astenersi dalle sostanze di abuso”.
Secondo gli autori della Personal View, anche l’esposizione a tossine (per i militari) o a farmaci, come steroidi e antidolorifici (per gli sportivi) potrebbe giocare un ruolo, mancano però informazioni in proposito. In generale, servirebbero ulteriori ricerche per individuare i fattori (es. età, gravità del trauma) che possano aiutare a predire chi è maggiormente a rischio di problemi cardiovascolari.
“Comprendere il rischio di malattia cardiovascolare dopo un trauma cranico, assieme a un programma di screening mirato per fattori di rischio cardiovascolare potrebbe migliorare la qualità di vita di chi ha subito un trauma cranico, ma anche mitigare il rischio di specifiche malattie neurologiche secondarie” è la conclusione a cui giungono gli esperti.
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