Cure palliative precoci e simultanee in oncologia, meglio prima che dopo

  • Daniela Ovadia — Agenzia Zoe
  • Attualità mediche
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di Valentina Zambonin (UOC Cure Palliative - Aulss 9 Scaligera - Verona)

 

Nel 2015 il tavolo di lavoro inter-societario AIOM-SICP ha portato alla produzione di un documento di consenso con l’obiettivo di sensibilizzare le figure professionali che si interfacciano col malato oncologico all’importanza dell’integrazione precoce delle cure palliative nel percorso terapeutico. Come si legge in questo documento, «le cure simultanee/cure palliative precoci rappresentano un modello organizzativo mirato a garantire la presa in carico globale del malato oncologico attraverso un'assistenza continua, integrata e progressiva fra terapie oncologiche e cure palliative quando l'obiettivo non sia principalmente la sopravvivenza del malato» [1].

Gli obiettivi di questo approccio integrato sono:

  • ottimizzare la qualità della vita in ogni fase della malattia;
  • prestare un’attenzione particolare ai bisogni fisici, funzionali, psicologici, spirituali e sociali del malato e della sua famiglia;
  • garantire la continuità assistenziale attraverso la pianificazione condivisa del percorso di cura;
  • evitare trattamenti inappropriati nell’ultimo mese di vita;
  • evitare il senso di abbandono nella fase avanzata e terminale della malattia.

Per riconoscere i pazienti che si avvicinano alla fase finale della loro vita, intendendo come tale gli ultimi 6-12 mesi, sono necessari indicatori clinici di orientamento prognostico e un approccio valutativo sistemico della malattia e della complessità dei bisogni del singolo malato e della sua famiglia. L’identificazione della fase di transizione fra cure in grado di determinare un controllo della malattia e cure rivolte prevalentemente al sollievo della sofferenza del paziente e della famiglia in una prospettiva temporale limitata, ha implicazioni clinico-assistenziali ed etiche [1].

Nonostante siano diverse le evidenze in letteratura che dimostrino come l’integrazione precoce delle cure palliative determini un significativo miglioramento non solo della qualità ma anche dell’aspettativa di vita nei Pazienti affetti da patologia oncologica avanzata, ciò che emerge dai dati di real-life è che nella pratica clinica il ricorso a questo servizio è ancora molto tardivo [2, 3].

Se le cure palliative fanno la differenza per pazienti, caregiver e familiari, e se prima è meglio, perché aspettare? Le principali cause sono probabilmente da ricondurre a diversi aspetti tra i quali: l’imprecisione prognostica, il potenziale curativo delle nuove terapie antitumorali, la difficoltà nell’individuare precocemente quei pazienti che andranno incontro a problematiche complesse e non ultima la paura (di tutti i soggetti coinvolti) di impegnarsi in conversazioni di fine vita [4].

Di fronte a queste insicurezze però, vi è la certezza che circa un terzo di coloro che ricevono diagnosi di cancro moriranno a causa della malattia entro cinque anni [5]. Negli ultimi anni si è sicuramente assistito ad un miglioramento della disponibilità di servizi volti a garantire le cure simultanee e la continuità di cura nelle oncologie italiane, ma tali servizi risultano spesso nati dalla sensibilità e volontà dell’oncologo più che da una vera strutturazione all’interno dell’Azienda in cui opera l’oncologia.

Questi miglioramenti sono comunque lontani dal poter garantire a tutti i pazienti oncologici una vera presa in carico globale e un percorso combinato che integri le terapie antitumorali e le cure palliative. In questo scenario il lavoro multiprofessionale in équipe e il coordinamento strutturato della rete, costituiscono gli elementi chiave per lo sviluppo di un percorso integrato che assicuri la continuità assistenziale nelle ultime fasi della malattia.