Cure palliative in nefrologia, quando e come
- Daniela Ovadia — Agenzia Zoe
- Attualità mediche
di Valentina Zambonin, UOC Cure Palliative (Aulss 9 Scaligera - Verona)
La malattia renale cronica (MRC) rappresenta, globalmente, un problema sanitario di vaste dimensioni. I dati epidemiologici derivati dalla National Health and Nutrition Examination Survey III (NHANES III) mostrano un incremento della prevalenza di MRC nella popolazione generale, stimando che circa il 10% della popolazione sia dei Paesi sviluppati sia di quelli in via di sviluppo, sia affetto da MRC. Questo dato è verosimilmente sottostimato in quanto la condizione è spesso misconosciuta. I principali motivi alla base di questo incremento “epidemico” sono:
- l’invecchiamento della popolazione (gli ultrasettantenni e gli ultraottantenni nel 2010, in Italia, rappresentavano rispettivamente il 55% e il 20% dei Pazienti in trattamento dialitico cronico);
- l’incremento dell’incidenza di comorbilità ad elevato rischio di manifestare un danno renale (quali il diabete mellito di tipo II, la sindrome metabolica, l’ipertensione arteriosa, l’obesità, la dislipidemia)
- la maggiore attenzione che viene posta alla diagnosi di tale patologia, facilitata dalla disponibilità di strumenti diagnostici semplici, affidabili e di basso costo;
- l’aumento della vita media legata ai progressi in ambito diagnostico-terapeutico [1, 2].
A fronte di questi dati diventa fondamentale una corretta valutazione prognostica del malato affetto da MRC. In particolare, in soggetti anziani e affetti da plurime comorbilità il trattamento dialitico si associa più spesso a una limitata sopravvivenza e a un significativo peggioramento della qualità di vita [1].
I fattori prognostici sfavorevoli nel paziente con malattia renale cronica avanzata, che consentono di individuare il bisogno di cure palliative, sono:
- risposta negativa alla domanda sorprendente;
- età avanzata;
- tipo e severità delle comorbilità associate (Charlson Comorbidity Index > 8);
- malnutrizione severa (albuminemia inferiore a 2,5 g/dl);
- grave compromissione cognitiva;
- ridotta autonomia funzionale (KPS < 40%);
- comparsa di eventi sentinella (ripetute ospedalizzazioni) [1].
Le Linee Guida della Renal Physicians Association propongono di considerare il non-avvio o la sospensione della dialisi in presenza di demenza grave, di una malattia terminale per cause non renali e in quei pazienti con più di 75 anni e almeno altri 2 tra i fattori prognostici sfavorevoli sopracitati[3]. Non si tratta in questi casi di proporre un “non trattamento” ma piuttosto un percorso di presa in carico globale del paziente e del nucleo familiare, integrando le cure nefrologiche con la valutazione dei bisogni e il trattamento dei sintomi, al fine di garantire la miglior qualità di vita possibile. La possibilità di prospettare ad un paziente una terapia conservativa non dialitica è un’opzione sempre più frequente date le caratteristiche demografiche e cliniche delle persone che sviluppano uremia terminale per le quali spesso la dialisi non rappresenta la scelta più appropriata [1, 4].
Il decorso della MRC è generalmente molto lungo, caratterizzato da una relazione di cura continua e stabile. Non mancano in questo percorso alcuni passaggi eticamente critici, in particolare la scelta di non avviare un trattamento dialitico piuttosto che di sospendere un trattamento in corso. In questo quadro evolutivo e complesso dal punto di vista dei molteplici bisogni è indispensabile la collaborazione tra Specialista e Unità di Cure Palliative al fine di ottimizzare il controllo dei sintomi, la comunicazione con i pazienti e le famiglie e la condivisione dei piani di cura, come suggerito dal documento condiviso SICP-SIN “Le cure palliative nelle persone con malattia renale cronica avanzata”.
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