Culinary Medicine, come mettere il dottore ai fornelli
- Cristina Ferrario — Agenzia Zoe
- Attualità mediche
Un piatto buono e goloso può essere anche alleato della salute? Forse nell’immaginario collettivo la risposta è negativa: sono in molti infatti ad associare cibi salutari con il concetto di “povero di sapore” o “poco gustoso”.
Tutto il contrario di quanto affermano i sostenitori della cosiddetta Culinary Medicine, un nuovo campo della medicina basato sull’evidenza che fonde l’arte del cibo e della cucina con la scienza medica.
Ne ha parlato con grande ricchezza di dettagli Daniele Nucci, dell’Istituto Oncologico Veneto di Padova, nel corso di una presentazione intitolata “L’arte culinaria e il cancro: una strada possibile?”, inserita nella prima edizione di un corso di formazione per medici, farmacisti, biologi e nutrizionisti organizzata dal 26 al 28 novembre da Fondazione AIRC e dalla Scuola di Studi superiori in Alimenti e Nutrizione dell’Università di Parma. Il tema, “Approccio evidence-based alla nutrizione nella prevenzione e gestione della malattia neoplastica”, è stato affrontato da esperti di varie discipine, dall'oncologia all'epidemiologia, dalla biologia molecola all'arte culionaria.
Volevo fare lo chef…
“Volevo fare lo chef. Potrebbe essere il titolo di una mia biografia” esordisce scherzosamente Daniele Nucci, ricordando il suo percorso di studi. Una formazione gastronomica a livello di scuola superiore (istituto alberghiero), poi gli studi per diventare dietista e infine una laurea in scienze della nutrizione umana.
“Ho sempre voluto coniugare la parte più tecnica e gastronomica, legata alla mia formazione iniziale, con quella più medico-scientifica della seconda parte dei miei studi” aggiunge e cita anche Gualtiero Marchesi, laurea honoris causa in Scienze Gastronomiche all’Università di Parma nel 2012 perché “approccia il mondo della cucina su basi culturali e scientifiche che vanno ben oltre la semplice tecnica culinaria” come si legge in un estratto della motivazione all’onorificenza. “Il dovere del cuoco è fare salute” diceva Marchesi. E ancora: "la cucina è di per sé una scienza, sta al cuoco farla diventare arte”.
Cucina, scienza, salute e arte sono alcuni delle colonne portanti della Culinary Medicine: l’arte culinaria come mezzo scientifico per portare salute.
Allargando lo sguardo alla realtà odierna, Nucci sottolinea che con l’influenza che oggi gli chef hanno sul pubblico – ne sono testimonianza i numerosissimi programmi televisivi o libri di cucina disponibili – si potrebbe fare davvero tanto per l’educazione alimentare della popolazione. Servono però le giuste competenze, sia dal punto di vista gastronomico (la tecnica di preparazione, per esempio) che da quello scientifico (il valore nutrizionale del piatto), un connubio non ancora abbastanza presente nei prodotti di comunicazione destinati al pubblico generalista.
Prevenire con gusto
Ma è davvero necessario scomodare l’arte culinaria per fare prevenzione? In effetti, i dati da soli potrebbero essere sufficienti: come riportato da Nucci, le stime recenti dicono che sono circa 11 milioni i decessi legati a una cattiva alimentazione e che i 30% circa dei tumori potrebbe essere prevenuto attraverso ciò che si mette in tavola. I medici, però, sanno anche che non è affatto semplice convincere una persona a cambiare le proprie abitudini alimentari, passando magari da una dieta ricca di grassi e proteine animali a una più basata su alimenti vegetali.
Del resto, è noto anche che gli uomini giudicano il cibo da come appare, da come odora, da come viene presentato. D'altro canto, l’atto di cucinare, seppur apparentemente semplice, chiama in causa diverse scienze, dalla chimica alla tecnologia alimentare, passando per la nutrizione e tante altre ancora.
È quindi importante guardare all’arte culinaria come a uno strumento in più per promuovere la salute. Questo anche alla luce di ciò che afferma l’Organizzazione Mondiale della Sanità: servono consigli pratici ai pazienti e ai loro familiari sui benefici di una alimentazione sana, e un sostegno per adottare e mantenere abitudini salutari.
“L’informazione da sola non genera il cambiamento” ricorda Nucci. Non basta quindi dire al paziente "mangi più frutta e verdura", oppure "utilizzi più legumi", ma servono anche indicazioni pratiche su come prepararli e renderli gustosi.
Medicina e cucina si fondono
Nel 2016 John La Puma, il padre della moderna Culinary Medicine, pubblicò sulla rivista Population Health Management un commento nel quale spiegava cosa fosse questa disciplina e a cosa servisse.
“È una disciplina pratica, che non si basa su casi ipotetici, ma si focalizza sul paziente e sui suoi bisogni immediati, il paziente che chiede cosa deve mangiare per la sua malattia. La stessa dieta non ha lo stesso effetto per tutti i pazienti: differenti condizioni cliniche richiedono diversi pasti, cibi e bevande” si legge nell’articolo.
“La culinary medicine si propone in un certo senso di colmare una lacuna formativa nella formazione dei medici che non hanno corsi di nutrizione – o ne hanno solo poche ore – nel loro percorso formativo” spiega Nucci.
Questa lacuna è ben descritta anche dai risultati di una revisione datata 2016 dalla quale emergeva che erano solo una decina a livello globale gli istituti che prevedevano all’interno dei loro curricula di studi sanitari un programma di educazione culinaria.
L’esperienza ci insegna comunque che, e lo riporta anche un articolo del 2021, quando gli studenti frequentano questi corsi di culinary medicine cambiano l’approccio verso il counseling al paziente e riescono a fornire più consigli pratici perché si sentono in un certo senso “più padroni della materia”. Non è un caso che nel 2019 l’Associazione Americana dei dietisti auspicava proprio che chi si occupa di nutrizione diventasse appunto “padrone della materia” per poter gestire questi corsi diretti sia ai medici sia ai pazienti, che oggi in effetti sono presenti sui portali di diversi istituti e università (per esempio l’Institute of Lifestyle Medicine o la Harvard University).
Naturalmente per arrivare al migliore risultato possibile è necessario educare anche chi si occupa di ristorazione e i pazienti stessi, ma di certo il medico ha un ruolo di primo piano in questo processo che va dalla clinica fino alla tavola. Un medico che sia anche “un po’ chef” potrebbe essere ancora più efficace nel trasmettere i messaggi positivi ai propri pazienti, non dimenticando mai che cucinare non significa solo cuocere il cibo, ma aiuta anche ad aumentare consapevolezza e sicurezza, a migliorare l’indipendenza, a creare nuove reti amicali, a raggiungere una sensazione di successo e a provare cibi nuovi.
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