COVID-19 – La reinfezione aumenta il rischio di insufficienza d’organo
- Cristina Ferrario
- Notizie dalla letteratura
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- I rischi di morte per ogni causa, ospedalizzazione e una o più sequele di malattia è più alto per chi si reinfetta con il virus SARS-CoV-2 che per chi contrae l’infezione una sola volta.
- Il rischio aumenta all’aumentare del numero di reinfezioni.
- Servono strategie per prevenire le reinfezioni da SARS-CoV-2.
Ammalarsi di COVID-19 in forma severa rappresenta una minaccia importante alla salute, in qualche caso fatale. Farlo due o più volte aumenta ulteriormente il rischio decesso e di condizioni acute e post-acute. A dirlo è uno studio della Washington University di St. Louis che ha preso in esame quasi 500.000 casi di infezione da SARS-CoV-2. Per contrastare le conseguenze della pandemia occorre quindi sviluppare anche strategie efficaci di prevenzione delle reinfezioni.
I dati analizzati dallo studio sono quelli raccolti dal Dipartimento degli Affari dei Veterani degli Stati Uniti, con i quali è stata creata una coorte di individui, perlopiù maschi bianchi, che hanno contratto un’infezione documentata da SARS-CoV-2 una (n=443.588) o più volte (n=40.947) e di controlli senza storia di infezione (n=5.334.729). Gli autori dello studio puntualizzano che la loro analisi non va interpretata come una valutazione della gravità della seconda infezione rispetto alla prima né del rischio di esiti avversi dopo la seconda infezione in confronto al rischio dopo la prima infezione: lo scopo dello studio era esclusivamente esaminare i rischi per la salute associati alla reinfezione.
Rispetto a chi aveva contratto il COVID-19 una sola volta, chi aveva avuto infezioni ripetute aveva un rischio due volte più alto di morire (HR 2,17; 95%CI 1,93-2,45) e un rischio tre volte più alto di essere ricoverato (HR 3,32; 3,13-3,51). La reinfezione raddoppiava il rischio di andare incontro a disturbi di salute mentale (HR 2,14; 2,04-2,24) e di sequele dell’infezione da SARS-CoV-2 (HR 2,10; 2.04-2,24). L’analisi statistica mostrava un rischio più alto di una serie di condizioni acute e post-acute, inclusi problemi respiratori, cardiovascolari, renali, gastrointestinali, ematologici, neurologici, muscoloscheletrici e di diabete.
Il rischio aumentava all’aumentare del numero di reinfezioni: rispetto a chi non si era infettato, l’hazard ratio per il rischio di una o più sequele era pari a 1,37 (95%CI 1,36-1,38) per chi si era infettato una volta, 2,07 (2,03-2,11) per chi si era infettato due volte e 2,35 (2,12-2,62) per chi si era infettato tre o più volte. L’analisi di sottogruppi predefiniti sulla base dello status vaccinale prima della reinfezione mostrava che la reinfezione si associava a un aumentato rischio di mortalità per tutte le cause, ospedalizzazione e almeno una sequela a carico dei sistemi d’organo indipendentemente dallo status vaccinale.
“Dato che è probabile che SARS-CoV-2 continuerà a mutare e restare una minaccia per anni se non per decenni, portando alla comparsa di varianti o sottovarianti che potrebbero essere maggiormente immunoevasive, che le reinfezioni avvengono e potranno continuare ad avvenire per via delle varianti di SARS-CoV-2 emergenti in tutto il globo e che le reinfezioni contribuiscono a un rischio non banale per la salute sia in fase acuta che post-acuta, è urgentemente necessaria una strategia che porti a vaccini più duraturi, che coprano un’ampia gamma di varianti, riducano la trasmissione (riducendo il rischio di infezione e reinfezioni) e riducano le conseguenze acute e a lungo termine per chi si infetta o si reinfetta – scrivono gli autori dello studio nell’articolo pubblicato su Nature Medicine che concludono aggiungendo – Urgono altresì altri interventi farmacologici e non farmacologici per ridurre sia il rischio di reinfezione che delle sue conseguenze avverse”.
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